martedì 15 marzo 2011

Galli, galline e porcospini. Il corpo delle donne e la zoologia nell’era di Silvio.

Galli , galline e porcospini. Il corpo delle donne e la zooologia nell’era di Silvio.

Il Paese in cui viviamo è un luogo profondamente maschilista.

Non so come si possa condurre una obiettiva analisi storica sul tema delle vittorie del femminismo (aborto, contraccezione ormonale, divorzio e riforma del diritto di famiglia in genere) però forse si può cercare di costruire una fotografia della donna, pubblica o privata, nell’era del berlusconesimo.

La penetrazione della cultura mediatica da “Drive in” e “Uomini e donne” ha decodificato un nuovo modo di essere donna nel mondo, nel mondo del potere, e, in fondo, anche nella famiglia e nelle relazioni individuali in Italia.

Si è passati da un periodo storico di sottomissione della donna ad un periodo di lotte per l’emancipazione ad un periodo di involuzione radicale della figura della donna. La donna vale oggi, nella cultura italiana dominante, quanto vale il suo corpo.

Siamo alla fine dell’Impero, sembra ormai chiaro che stavolta Caligola metterà non più il cavallo ma tutte le amiche ed amichette in posti di potere in cambio di oniriche retribuzioni erotiche.

Il Paese non è più un Paese di uomini e donne: è un Paese di zoccoli e zoccole. Siamo nell’era della sublimazione della prostituzione fisica ed intellettuale.

E’ retorico, scontato osservare come oggi la reificazione della bellezza femminile ha trasformato la donna ed il suo corpo in una invincibile moneta di scambio, più che negli anni passati.

La donna torna ad essere un soggetto inutile, superfluo laddove non offra garanzie di soddisfazione erotico-sessuale di alto livello.

La donna intellettuale, capace, preparata, colta non serve a nessuno perché l’immagine pubblica vincente è il gallismo, la forza del prestigio del puttaniere, la potenza del talamo come pallottoliere di conquiste, il fascino come esibizione quantitativa di corpi posseduti.

La donna, nell’immagine pubblica del potere, ha, quindi, perso la propria battaglia. La donna intelligente, acuta, capace di far parte in posizione di parità di qualsiasi arena dialettica è scomparsa. Il modello di persona capace al femminile, infatti, resta necessariamente un modello anti-estetico ed anti-erotico che trova in Rosy Bindi il suo interprete più autorevole (non a caso, vittima della definizione silviesca “più bella che brava”).

La presenza, tra le illustri esponenti del gentil sesso sugli scranni dell’agorà italiana o in posti di comando dentro ai partiti, di veneri sensuali ed ormai educate a dovere che si trasformano da veline e letterine a promotrici di battaglie di civiltà e di lotta politica di alto livello fa quanto meno sorridere.

La gnoccocrazia è ormai in atto e si trova nel momento più alto del sviluppo. Però non posso nascondere la mia tristezza, senza alcun tono moralista puritano ma solo pensando alle migliaia di ragazze, belle o non belle, che non si piegano al ricatto di mercantizzare la propria immagine e la propria dignità e si impegnano, come tutti, nel proprio lavoro o nello studio, cercando di realizzare piccole idee o piccoli sogni.

E tutto questo, queste eroiche donne invincibili, lo fanno soltanto per una ragione: trovarsi nell’arena pubblica del vivere civile duellando nel rapporto con il maschil sesso nella conservazione di un fondamentale piano di dignità che è canticchiato con toni austeri all’3 della Costituzione. Un obiettivo per il quale le loro nonne e forse alcune delle loro mamme si sono battute per far capire che la donna ha un proprio ruolo definito nel mondo pubblico e privato, che va al di là della procreazione o della mercificazione di un corpo che dia piacere e che non potrà mai essere sostituito dalla voce o dall’azione maschile.

La gnoccocrazia ha poi avuto un ulteriore effetto, parimente grave catastrofico: distruggere l’idea di bellezza femminile. La bellezza del corpo della donna non è più un’immagine artistica, vera, naturale, prorompente in tutta la propria verità. La bellezza non più la sede della dolcezza, non è più l’immagine di un sogno o di una meravigliosa idea visionaria. La bellezza non più il costrutto tangibile di un innamoramento o di un pensiero esaltante.

La bellezza della donna in quanto moneta di scambio ed oggetto di prostituzione diventa violenza, arma di forza, strumento di attacco, sede di aggressività verso il raggiungimento di un risultato in senso aziendale Il corpo deve fare profitto altrimenti se ne perde il senso ontologico. Il corpo allora viene orientato al suo fine naturale della società dei consumi: fare soldi e, come tale, viene esibito senza limiti, senza misura, senza anche alcun senso; non per esaltare l’armonia o al grazia quanto per conquistare potere fisico e materiale. La bellezza è andata perduta, l’anima della donna si è mimetizzata tra culetti saltellanti e tette al vento. Tette e non più seni, ma solo tette. Culi e non più donne, ma solo culi.

Ma l’era della gnoccocrazia, in fondo, non riguarda solo la donna, anzi. A parti invertite, è solo un’espressione parziale di un costume morale e di un’idea filosofica della vita che non ha neppure risparmiato alcuni giovani uomini che hanno ripreso il mito nerissimo del gallo italico, oggi precipitato in capelli allisciati con mille forme, in lampade abbronzanti ed in muscoli che servono a compensare la mancanza totale di parole.

La gnoccocrazia impera perché subiamo una cultura dominante che guarda alla donna solo come “femmina da piacere” in quanto al potere abbiamo uomini egualmente gallici, come Silvio Berlusconi che rendono pubblicamente sdoganabile e accettabile nel dibattito pubblico il teorema assurdo dell’harem e che invocano l’insanità mentale della propria moglie che lamenta in pubblico le devianze sessuali di un marito rincorrente ragazzine non ancora diciottenni.

Normalizzato, dunque, la cultura da “delirium tremens” del maschio sessuofilo, il palcoscenico pubblico non può che diventare egemonia esclusiva delle bambole gonfiabili dell’erotomane di potere. L’icona femminile vincente è allora quella della bella senza cervello o delle bella con il cervello a cui, però, ad un certo punto è stato offerta la lezione fideista secondo la quale esiste una cosa rispetto alla quale la potenza del carro trainato dal bove diventa l’acme dell’impotenza umana.

L’onestà intellettuale vuole, tuttavia, che si ammetta che la colpa non è solo di un singolo uomo di nome Silvio, il quale, nonostante la superominica autostima derivante dai suoi plurimi super poteri e dai suoi invocati ed abusati strumenti mediatici, non sarebbe comunque da solo in grado di generare un simile misfatto antropologico.

In fondo, se impera questa cultura superficiale ed idiota e se al mondo intero l’italiano medio-tradizionale appare ossessionato dall’eros, ciò avrà anche altrove le proprie ragioni sostanziali.

La mancanza, infatti, di un minimo sforzo nei maschi italiani di intravedere anche in una bella ragazza una ragazza pensante e di pari intelligenza, di pari dignità intellettuale si traduce nel costante ed inconsapevole contributo alla lotta silviesca per l’estinzione pubblico-mediatica della donna brutta o della (ancora peggio) eroica bella ed intelligente.

La dimensione mesozoica in cui ci troviamo su questo aspetto in Italia ha origine, dunque, anche in questi scimmieschi e retrogradi atteggiamenti culturali del maschio medio che, nella maggioranza dei casi, non ha saputo ancora sviluppare un approccio paritario con la donna; decidendo allora che soltanto un rimedio vi è per scongiurare l’avanzata tremenda delle donne intellettuali: la sottomissione dell’immagine pubblica della donna entro il suo ruolo di produttrice di eros e piacere di esclusiva fruizione maschile.

L’offesa alla donna è, dunque, già insita nell’apprezzare una gnocca in quanto tale e nel non avere la curiosità, l’interesse, l’intelligenza di capire se ha anche qualcosa da dire, magari qualcosa di originale o persino qualcosa di intelligente.

Anziché invocare, dunque, moniti di morettina memoria (“Donna, dì qualcosa anche non di sinistra”), l’uomo medio italiano assapora il piacere di una società gnoccocratica perché, in fondo, l’illusione di essere un Rocco Siffredi o un Silvio Berlusconi è, in concreto, (“diciamolo” direbbe lui), più appetibile di essere un uomo normale che trova piacere nello scambio con una donna che, oltre alla (tanta, poca o nessuna) bellezza fisica, abbia idee, emozioni, pensieri, esperienze da donare in una relazione paritaria di piacere e di benessere reciproco.

La gnoccocrazia prende più voti, indubbiamente, del modello “Love story” ed il dramma di oggi è che molte ragazze, anche ragazze comuni, si sono già adattate a questo habitat naturale di piena sodomia culturale.

Serve davvero un grande e storico stacco di orgoglio da parte delle donne ma anche una profonda riflessione da parte di questi piccoli maschi italiani, che si sono fatti sottomettere – peggio dei loro nonni - al fascismo sessuale del gallo a tutti i costi senza nemmeno essersene accorti.

Basterebbe capire che non esistono solo galli e galline e che la fattoria è bella proprio quando il panorama faunesco è più vario e numeroso del solito.

Mai visti i porcospini che fanno l’amore? Sono veramente divertenti.