giovedì 20 agosto 2009

I luoghi del nostro cuore sono quelli della prima giovinezza

Mi trovo ormai da giorni Cefalù in un "ritiro spirituale da studio", stante l'esame orale di abilitazione che incombe, e che si materializerà il 5 di ottobre come un felino da domare.
Sto in un bel posto, dove riesco a studiare ma anche a respirare un po' dei profumi dell'estate.
Eppure, mi basta poco per far volare la mia mente lontano dai libri e dalla mia (comoda) prigionia, e desiderare di essere ALTROVE..
Io non sogno paradisi lontani mai visti, nè mondi lontanissimi; io sogno i luoghi in cui sono tornato tante volte, sin da quando ero bambino, e che per me hanno un sapore magico.
Ieri, su facebook, una ragazza scriveva che avrebbe studiato tutta la settimana per godere appieno di un "weekend eolico" (l'aggettivo è simpaticamente usato per le isole eolie, indipendentemente dal vento che si possa trovare tra le caverne che furono del dio Eolo). Ho subito provato forti sensazioni, respirando il profumo dei mari che conosco e in cui ho passato tante estati, dalla barca o dalla terra.
Voi mi direte che si tratta di posti molto vicini, sempe alla portata, e in alcuni angoli ormai troppo turistici, ma, proprio perchè a poche miglia da qui, il loro pensiero mi fa soffrire ancor d piu della mia condizione di "recluso"..
Il tramonto di "Pecorini" (porto più nascosto nell'isola di Filicudi) con le sue genti, sempre le stesse come in una piccola "Desolation row", Salina con i suoi boschi e conl e granite a "Lingua", l'odore di zolfo di Vulcano ..e poi Stomboli, vera perla del tirreno tra un cratere selvaggio, un paesino raffinato, ed un lato nascosto di ineguagliabile bellezza ..si chiama GINOSTRA, e lì c'è ancora tutto quello che altrove è stato ucciso dalla modernità..
..Altre volte provo nostalgia per l'Australia, che davvero forse non rivedrò più, ma il sapore dolceamaro è più attenuato, forse perchè, viaggiando, potrò trovare altre Australie, ma non troverò mai altrove quell'inconfondibile gusto "EOLICO"

CHI VIENE CON ME A STROMBOLI DOPO IL 5 OTTOBRE?
Johnpigs



giovedì 13 agosto 2009

Periferie e periferiche

Cari amici,
di seguito pubblico la nota relativa al gruppo di ricerca e/o documentazione che vorremmo costituire sul tema delle periferie di Palermo. Trasferiamo qualcosa anche su questo blog così da trovare uno spazio più raccolto di discussione e di commento. Gli amici del blog sono tutti invitati, se interessati a svolgere le proprie considerazioni.
A presto,

John Waine.


Tutto comincia il 5 agosto. Dopo alcune giornate mondelliane e palermitane in cui l’idea si apprestava a nascere dentro di me, ho segnalato l’impulso, sintetizzandolo nel desiderio di fare un progetto sulle periferie palermitane.
Il 6 sera mi incontro con Giovanni e Sergio, iniziando a mandare inviti ai possibili interessati.
Domenica 9 agosto pubblico su fb la nota “a voi”. E adesso si vedrà..un paio di mesi, meglio uno solo, per chiarire il tutto ed iniziare ad ottobre è quello che vorrei… Speriamo beneJ
La nota è questa, “taggata” a potenziali partecipanti e ad uno spettatore abruzzese –Andrea D’Emilio- che è stato dalla sottoscritta obbligato al silenzio, ma avevo piacere di coinvolgere nella visione di quel che si combina- mi auguro sul serio- in quel di Palermo:
“scrivete d'ora in poi, se vi va, tutto ciò che vi passa per la mente qui, per favore. Proposte, critiche, dubbi, domande, suggestioni.. Non sarà sostitutivo di incontri effettivi, ma può essere un ausilio impensatamente efficace.Vi riporto uno degli "inviti" fatti e la risposta di Daniela, tanto per cominciare.Buona giornata!"Meraviglia e rifiuto"In breve, dunque, trattasi di una ricerca su alcune zone palermitane, da sviscerare secondo differenti prospettive, per cercare la meraviglia (il bello dell'arte, della natura e degli uomini) ed il rifiuto ( lì dove questo non si vede per quali ragioni non si vede), ma senza procedere con l'idea di essere missionari, né giornalisti a caccia di scoop da inviare a striscia la notizia. Anche, per carità, ma in ogni caso non si guadagna nulla se non la possibilità di guardare le cose più da vicino, nel bene e nel male.Per questo, intanto, la prima caratteristica dei partecipanti dovrebbe essere un miscuglio d'interesse e sensibilità , cui si aggiungerebbe un talento-competenza specifici, da far fruttare in queste immaginate raccolte di materiali su cui discutere mensilmente insieme.Avrei un'infinità di cose da aggiungere, ma tanto ne parleremo meglio.Ricopio ciò che svevo scritto per ringraziare i primi due aderenti all'iniziativa, ossia Sergio e Giovanni R."Partendo dal presupposto che ci vorranno molta lucidità, entusiasmo ma non esaltazione, impegno serio a non prevaricare e tante variabili che non sarà facile coordinare, prometto di volermi esprimere con pacatezza "filosoficamente", incuriosita sul serio delle idee e competenze degli altri.Il “Metodo” non è questo. Questo è più l’atteggiamento che intendo perseguire io, quindi non imponibile.Il metodo dovrebbe essere, invece, ricapitolando:1. ricerca previa sul territorio attraverso vari strumenti (già qualcosa l’ho cercata, poi vi dico)2. richiesta a chi ha già effettuato indagini di varia natura sul territorio in questione di poterci dare delle illuminazioni, che se tali saranno stabiliremo poi.3. Indagini sul campo, da collaudare volta per volta, lasciandoci guidare da chi ne sa di più in determinati ambiti, ma senza oscurare il bisogno di far ricerca in proprio secondo un gusto ed una sensibilità personali, che non vanno per nessuna ragione mortificati dall'idea di "farpartediungruppo"... è difficile, ma si può.Obiettivo: non solo documentario, magari, ma principalmente si. Non dobbiamo “fare del bene”, ma capire cosa c’è dietro questa periferia.. Il disagio è un mito? Stanno bene e siamo noi a recepirli come “poveracci”? Che modelli ci sono? Quanti immigrati ci sono e come vivono? Sono integrati? E tanto, tanto altro. La domanda “Dove abiti? “, come appuravamo ieri stesso dai racconti di Giovanni sulle “giovani di viale Strasburgo”, sembra aprire la strada per un’identificazione quasi immediata, lo sappiamo. Agisce in noi un modo di fare lombrosiano inevitabilmente? Chissà cosa ci diranno gli antropologi.Ognuno arriva con un gruppo di ipotesi di ricerca, possibilmente. Sapere che musica si ascolta, per dirne una…più domande si fanno meglio è, e le interviste saranno necessarie, come avevo pensato anch’io nei miei appunti in mezzo ad altro che recupererò, e come diceva ieri Giovanni.Chi siamo? Allora..ancora è da definire, comunque:PRIMO GRUPPO (GIURISTI/E “SENSIBILI”): Sergio, Giovanni, Francesco, Giovanni Porcelli ? e Silvia? (amici di Giovanni)SECONDO GRUPPO (ARCHITETTI): Chiara? , Danilo , Vincenzo?, Naida, DarioTERZO GRUPPO (PSICOLOGI-GHE/ANTROPOLOGI-GHE): ?QUARTO GRUPPO (FILOSOFI-E): Rosanna, forse Giovanni, Giancarlo che potrebbe far da jolly come Pasquale,Patrizia e Massimiliano (non l'ho ancora chiesto, ma spero vogliano-possano entrambi) ed io.Le zone sono:Borgo vecchio, Zen, Borgo nuovo, Zisa e Brancaccio, da "studiare", analizzando e sintetizzando in varie maniere, nei contrasti e nelle similitudini con le zone contigue- etichettate come non degradate (e dovremmo interrogarci anche su questo, mi sa…quale degrado ci interessa scoprire? Quello della munnizza? Quello dell’anima? E di chi? Di un gruppo, di un singolo? Un quartiere rende ragione davvero dei suoi abitanti? Io ed Amoroso abbiamo molto in comune solo perché viviamo nello stesso palazzo? Mmmsi..siamo pazzi, si! Su, volevo scherzare un po’..sollevare questioni comunque non fa male..)-.Il mio desiderio è far parlare queste zone poco visibili, ma finora credo solo di aver giustamente insinuato il dubbio nelle vostre coscienze che tutto ciò che vorrei è semplicemente compagnia per visitarle…Dopo un approccio di tipo puramente rudimentale per avere un minimo di familiarità con il luogo, però, cosa che farò in queste settimane, naturalmente intendo insistere.Ciascuno avrà in mente qualcosa di diverso da chi gli sta accanto ed è un bene. L'importante è contenere le spinte all’ ”iperdirezione”, chiamiamola così, nella consapevolezza che ciascuno prenderà per sé da questa esperienza- se veramente riusciremo a realizzarla- ciò che più l’aggrada, ok, ma si spera riesca a riconoscersi facente parte di un progetto e come suo "elemento" riesca, quindi, a lavorare.Sarà un modo anche per vedere come ciascuno sa stare in una piccola comunità senza troppa arroganza, ma con originalità, che dite?Io farei un documentario anche dei nostri incontri..Basta in fondo parlarne ed essere certi che non ci saranno capi assoluti (ad esempio ogni serata di confronto verrà concepita in modo da alternare rigorosamente i ruoli, senza che ci si possa cristallizzare in figure attive o passive..poi vi dico cosa ho pensato, in modo elementare, cmq..).Bene. Volevo insomma ancora ringraziarvi per ieri sera..ovviamente pensate e appuntate ciò che vi viene in mente, chè ci aspettano ancora settimane di elaborazione del progetto prima di passare alla seconda fase di sua lunga realizzazione. Non verrà mai come lo delineeremo, qualora anche riuscissimo a metterci tutti d'accordo, ma può essere un'occasione per capire meglio cosa voglia dire “periferico”, “comune” e tanto altro.Io voglio crederci con voi, anche se sarà una fatica onerosa in più, nelle vostre giornate già impegnatissime. Grazie davvero della disponibilità."Daniela mi scrive: Cara Silvia,solo stamattina leggo con attenzione quello che mi hai inviato. Avrei già molte domande. Capisco che vi siete già incontrati e che il tutto avrà, credo, più concretezza di quanta ne possa avere adesso per me se non altro perché è stato possibile vedere interagire un gruppo di persone sull'argomento.Dove tu dicevi di "cercare la meraviglia e il rifiuto" io immaginavo la condizione di un osservatore privilegiato che avrebbe dovuto allenare il suo sguardo per cercare di far parlare le cose. Molto letterario e filosofico se vuoi, molto affascinante per me, ma leggendo oltre capisco che,per fortuna, mi sono sbagliata.Io non so quello che tu già hai prodotto, non so se avete in mente di far parlare le persone, ma credo che sarebbe davvero interessante.Da quello che mi dici mi sembra che tu proponga qualcosa che sta a metà tra l'antropologia e la ricerca storica e molte altre cose che potrebbero diventare diventare un'inchiesta sui giovani o su qualcos'altro (oddio mi vengono in mente esempi presuntuosi come quelle di Pasolini o di Agosti! :)). Insomma la cosa è molto stimolante.Solo una cosa. Quando parli di periferie la prima cosa che mi viene in mente è che ci sono molte persone (che conosco) che vivono a Brancaccio o in quartieri che noi immaginiamo degradati.Ricordiamocelo. Vivono lì solo perché gli affitti e le case sono meno cari ma poi magari ascoltano musica più colta e raffinata di quella che sento io. Mi era venuta in mente l'idea di far parlare anche loro. Ma poi è soprappevunuto il pensiero spiacevole che potessero sentirsi degli interessanti oggetti antropologici.Non il metodo, ma l'atteggiamento come dici tu, sarà molto importante. Mi piacerebbe parlarne anche con gli altri ragazzi.A presto,baciuzzi Silvia risponde: Tesoro, è ancora tutto in fieri. Te ne ho parlato a caldissimo, ma in realtà è da decidere insieme proprio in queste settimane. Certo, le persone devono parlare! L'unica cosa che abbiamo cercato di stabilire con Sergio e Giovanni l'altra sera sono state le zone, ma solo per contenerle in un numero determinato, visto che ogni mese ogni gruppo composito dovrebbe "indagare" un quartiere, per poi lavorare su un altro il mese successivo..Io volevo anche Brancaccio, Settecannoli e via dicendo, ma poi è venuta l'idea della contiguità di queste- che non sono tutte periferie..Borgo vecchio può dirsi un'enclave!- con quartieri finge "perbene"...non so se mi spiego,scrivo celermente, ma tanto ne parleremo de visu.Non mi ha ispirato una vena pasoliniana, ma forse nasce da un istinto a tentare di scrivere un pezzettino di storia non borghese. E se il progetto riuscisse a concretizzarsi, potremmo continuare a setacciare tutta la città. Ce la dobbiamo riprendere, dobbiamo conoscerla e frantumare antiche e vetuste distinzioni, sapendo bene come ognuno di noi avrà sempre una sua Palermo nel cuore..ma creare un terreno comune di dibattito penso possa farci del bene. Poi non so..si vedrà..A prestissimo,SilviaLo stesso titolo è solo orientativo e non ce ne sarebbe bisogno.. Sono volgari deformazioni filofilosofiche le mie, chi mi conosce lo sa..
Giovanni Romano: Non so come faccio ad aggiungermi al corpo della nota, scusate la mia ignoranza del mondo facebook....Leggo con piacere l'intervento di daniela e mi trovo d'accordo su molti punti, soprattutto sulla tecnica della ricerca (io infatti preferirei interviste). Fare parlare la gente penso sia la cosa davvero pi... Visualizza altroù interessante, piuttosto senza dubbio che far parlare me, ad esempio....Penso dovremmo solo scegliere un'ossatura di ricerca su cui basare tutto; non so un tema oppure in senso ancora più interessante anche soltanto una domanda o due domande.Una volta ero andato in giro per palermo alcune sere con un amico a fermare persone per strada (volevo, a mio dire, fare un documentario sulla vita notturna di Palermo: mondo fighetto, alternativo, etc.). Devo dire che dopo l'iniziale imbarazzo la gente parlava, ma solo perchè, credo, le domande erano nette e precise. Poi la cosa naufragò per altri motivi, che non vi spiego. Io avevo pensato: "Qual è il tuo sogno?". Il resto da sè...
ai confini della realtà e dei sogni palermitani
Daniela Rosano: Ciao Giovanni, sono contenta di ritrovarti qui..sono curiosa di conoscere le risposte che la gente ti ha dato in quell'occasione..penso che ognuno di noi ha un progetto in mente per questa cosa, a me era venuta voglia di fare una cosa del genere (interviste a persone che normalmente non parlano e in cui non siano le domande a determinare le risposte)dopo aver visto il bellissimo documentario di S. Agosti "D'amore si vive", in cui anche il momento dell'intervista è ridotto al minimo e le persone si raccontano per lo più spontaneamente. L'intervistatore cerca una vera comunicazione con gli interlocutori facendogli dire delle cose sorprendenti.Mi rendo conto che era Agosti,che erano altri tempi , che non era la Sicilia e che il tema non c'entra nulla con il nostro ma lo spirito con cui è stato condotto questo film-documentario mi affascina moltissimo. Credo che chiedesse anche lui alle persone qual era il loro sogno o che idea avevano di felicità. Che non sarà facile lo sappiamo.
Giovanni Romano: Abbastanza d'accordo Daniela, anche a me piace Agosti e ho visto anche io "D'amore si vive". Direi che potremmo fare un misto con "Comizi d'amore". Insomma, ci riempiamo d'amore tutti quanti...E cmq sì, anche "Cosa è per te la felicità?" è una bellissima domanda. Senza dubbio, hai ragione.
Giovanni Porcelli :Ehi Gio, ricordo bene quel reportage sullE vitE a Palermo! ..Il filmino è una delle poche cose insieme interessanti e da ridere da matti...Bella idea Silvia, anche se, in questo momento, più che dei quartieri di Palermo ho voglia di Parlare del tramonto di Ginostra nell'isola di Stromboli nelle sere di settembre.. ma per questo esiste lo spazio adatto..
heh, ti capisco..ma infatti l'idea è gettare il seme ora per cominciare a lavorarci nelle stagioni più dure da sopportare, senza incanti naturali ed occasioni di impagabile relax:)Vinicio dice "Tutte quelle romanticherie, i tramonti, il mare, sono sempre lì; sono io che spesso manco."evviva i tramonti, sempre..farai bene a non perderteli, baci!
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Aggiungo qualcosa io..Dalla periferia guardi cosa c’è dentro e cosa c’è fuori in un modo che nessuno che non ha abitato lì riuscirà a far suo, probabilmente. Questo potrei anche immaginare…ma è una visione troppo poetica.. io cerco l’umano, onestamente..e lo voglio cercare ovunque, senza filtri intellettualoidi idioti. Volevo capire fino a che punto regge la relazione tra posto in cui si vive e ciò che si è…
Mi piacerebbe, per esempio, se oltre alle ricerche su più piani, prendessimo come punti di riferimento una famiglia sicula ed una di “immigrati”- o un immigrato- per ogni zona da intervistare nei cinque mesi, sondando abitudini, modi di vedere il mondo, la sua città e anche quello che c’è oltre, a pochi metri. Quante similitudini e differenze ci sono davvero..cosa vuol dire "essere palermitano" secondo loro..
vuol dire qualcosa? Nella zona contigua “perbene”, pur lasciando che parlino molto da soli i contrasti del territorio, farei invece domande su ciò che pensano e quanto conoscono la realtà che hanno vicinissimo, come spendono i loro soldi, cosa pensano dell’amministrazione cittadina e che sogni hanno, come propone giustamente Giovanni. E inviterei alcuni di loro a commentare con noi la periferia osservandola..
Perché la zona ci determina? Non sono piuttosto le esperienze che facciamo, le facce che incontriamo e le idee che ci costringono a fare nostre o a rigettare a seconda di come viviamo? Solo la cultura può salvare? Questa dovrebbe essere la nostra lettura? Non ci penso nemmeno. Io non voglio procedere come una scassacazzi, spocchiosa, laureata, dottoranda che si è potuta permettere anche le crisi depressive essendo comunque figlia della media borghesia. La cultura è un lusso. Esiste un altro modo di vivere bene che travalica la nozione ma passa comunque dalla bellezza. Cosa è la bellezza per te, questo chiederei. Perché che la bellezza possa salvare il mondo è la sola illusione che mi sento di trattenere oggi. E la bellezza è anche per strada… non so..per adesso mi fermo..ci si vede presto, buona serata
Daniela Rosano: Sono d'accordo, saper apprezzare la bellezza è senza dubbio il modo più sano di stare al mondo..e come dici tu la cultura non è condizione necessaria e a volte nemmeno sufficiente..certo sperare che la zona- come la chiami tu- non ci determini è molto bello..se uno ha la fortuna di nascere e trascorrere la sua vita nel centro di Firenze ovunque si giri attorno lo sguardo gli rimanderà solo immagini di perfezione e armonia e il suo animo (animo?non so come chiamarlo) non potrà restare indifferente..se invece si trova a vivere nel bel mezzo dello Zen -Gregotti può dire quello che vuole- gli sarà più difficile costruirsi un'idea di bellezza..insomma la zona secondo me ci determina ma non produce una sorta di predestinazione..soltanto esistono diversi modi di apprezzare la bellezza e laddove non c'è questa va inventata..penso per esempio alle banlieue parigine (dico la prima minchiatache mi viene) che, dopo tutto il casino,hanno iniziano a lanciare trend culturali -musica, arti visive..-
'è voluto tutto il casino prima però, ovvero una sorta di processo per ottenere un'identificazione precisa..insomma una conquista..potrei spararle grosse..è tardi e mi fermo qui.
Giovanni Romano: Penso che il contesto in cui ci muoviamo ci determini in modo assolutamente decisivo. Non si può prescindere da questo. Tuttavia, esistono delle vie di fuga. Ad esempio, la ribellione contro la contaminazione e il conformismo culturale che reca l’appartenenza ad un gruppo o una comunità (una strada, un condominio, un quartiere) può avvenire in qualsiasi uomo. Anche l'individuo meno consapevole e colto può ergersi contro la realtà in cui vive.Questa prospettiva – a mio parere da adoperare nella nostra inchiesta - può significare scoprire le realtà diverse che esistono dentro uno stesso quartiere, del genere degradato: persone che non si riconoscono nei codici e negli schemi di quel quartiere e che però hanno una forza critica; individui semplicemente chiusi in sé stessi oppure una terza ipotesi: immigrati in via di integrazione che riescono ad influenzare in qualche modo – ancora forse molto lentamente – alcune abitudini (pensate alla frutta esotica che si vende a Ballarò, agli annessi negozi delle africane per fare le treccine e così via).
Credo anche con franchezza che ci voglia davvero molta pazienza e molto amore per capire le borgate di Palermo se in realtà mai ci si è vissuto. Non è banale dirlo: in una realtà come la nostra, una cosa è passare fugacemente per una strada, altra cosa è viverne i problemi e le sue realtà come propri. I percorsi personali a volte ti permettono di segnare la tua esperienza di immagini assolutamente preziose e insostituibili a confronto con i romanzi che leggi o i film che vedi. Sono cresciuto alla Zisa, ho giocato per lungo tempo a calcio a Borgo Nuovo e grazie al calcio penso di aver conosciuto tantissime tipologie di palermitani, ragazzi normali e ragazzi senza dubbio disagiati. Ho abitato in questi ultimi anni nella zona vicina alla stazione, piena di studenti fuori sede, famiglie popolari e immigrati.
Al contempo ho fatto le medie al Garibaldi, il liceo all’Umberto con i suoi gruppetti musicali e i centri sociali, l’università e il dottorato a Giurisprudenza, ho praticato studi legali frequentati da gente molto ricca. Frequento - come molti – molti locali normali e alcuni locali – oh, my god - alla moda. Ho avuto la fortuna, davvero grossa in questa città, di interagire più o meno a fondo con categorie diverse di persone.Non so a quanti miei colleghi sia capitato di leggere negli anni sul giornale i nomi di propri compagni di infanzia arrestati per rapine o scippi o furti. Ma non è un dispiacere né un vanto: è andata così. Anzi, penso che ci siano ovviamente persone che ne sanno molto di più di me su questa faccenda. Io stesso, infatti, faccio parte ovviamente della middle-class palermitana che può permettersi il lusso di guardare le cose con un minimo di distacco.
Però voglio essere consapevole della mia limitatezza e del fatto che questa middle-class non forma la parte più consistente di Palermo.Di una cosa sono certo: la conoscenza di cosa sia la realtà popolare non si fonda su libri e film; necessita per forza di una profonda esperienza personale, altrimenti resta solo un gioco borghese infantile. Il mio bilancio mi porta a pensare che davvero Palermo sia divisa in due parti: da un lato una minoranza ricca o medio-ricca che vive in un metro quadro di plastica ovattata, inconsapevole, fintamente spensierata, che gira sempre negli stessi posti ogni sera, che frequenta le stesse persone da secoli, che crede di avere il dominio della città ed invece nemmeno conosce un terzo della stessa.
Da un altro lato, il grosso della città è costituito da borgate, grandi, piccole, con codici, abitudini, gerarchie, famiglie potenti e meno potenti, immigrati africani, bengalesi e cinesi, violenza e normalità, pulizia e sporcizia, tradizioni culturali quasi immutabili, feste di piazza con i cantanti, degrado e ansia di movimento.A cosa può servire allora una indagine su questo tema nel rischio dello scherzo borghese e stupido? Vedere quali sono le analogie, eliminare la retorica delle differenze finte, capire le differenze reali, documentare storie normali di persone normali che vivono però relegate in realtà di secondo piano, in cui si negano virtù e vantaggi che in altre zone della città sono invece simbolo e vanto.
O ancora mostrare come la città sia del tutto in mano in realtà ai gruppi mafiosi che controllano pienamente il territorio, evidenziare l’assenza totale dello Stato nelle aree più vaste e più a rischio, denunciare le anormalità a cui alcuni palermitani (la maggior parte) sono abituati a vivere da anni per decisione di altri. Dire ad alta voce che una parte di Palermo è sorda e chiusa in sé stessa e non si cura di ciò che succede altrove, perché protetta e cullata ogni giorno in una sorta di grasso moto perpetuo dal proprio benessere e dal proprio potere; quell’opulenza e quel potere che permettono di tenere lontana l’immondizia (anzi, ultimamente nemmeno quella..)
Mi sembra chiaro che questi elementi condizionino la crescita di una persona, la formazione della sua identità, l’elaborazione di un senso relazionale con la parte “borghese” della città di assoluto conflitto, di frustrazione in attesa di rivalsa oppure di sodalizio in senso criminale o ancora più semplicemente di mera incomunicabilità.Le parole che si parlano in alcune parti di Palermo non sono comprensibili all’altra Palermo; ci sono strade i cui nomi sono del tutto ignoti. Per molti Corso dei Mille non è più Palermo perché lontana dal sacro quadrilatero Piazza Politeama, via Libertà, Stadio, Addaura Reef. Quelle facce sono per molti troppo brutte da sopportare; stare accanto a qualcuno di loro viene visto quasi come un disonore con un senso di borghese, potente, compiaciuta, arrogante superiorità.
Posso dire che quando giocavo a calcio era difficile comunicare, quasi impossibile e nella maggior parte dei casi ero anche emarginato. Ma ho provato a levarmi di dosso la faccia della persona che giudica, ho provato a parlare il loro linguaggio, a condividere i problemi, a ridere alle battute. Con alcuni non è cambiato nulla; continuavano con i ... Visualizza altroloro pregiudizi a vedermi come il ragazzo che va al liceo o come lo studente di Giurisprudenza che non può capire un cazzo delle loro cose. Con altri invece la magia alcune volte scattava: alcuni mi prendevano in simpatia, si interessavano del mio esame di diritto privato e mi registravano orgogliosi cassette di Mario Trevi (n.b. cantante neomelodico…). Alcune volte uscivamo anche insieme la sera e mi offrivano sempre da bere con una generosità tale che non ho riscontrato mai in seguito nel più ricco delle persone incontrate nel mondo borghese.
Alcuni mi sembravano solo ignoranti, rozzi, violenti, stupidi, schiavi anche loro di un conformismo non meno pericoloso del nostro. Altri invece mi sembravano persone vere, che lavoravano, che avevano sogni autentici, perché conoscevano poche parole e non avevano bisogno di parlare il linguaggio delle persone inutili e viziate. Questo allora mi sembra il senso: trovare una normalità comune, possibile, comprensibile.Penso che ci sia una violenza difficile da superare nella cultura di alcune borgate, supportata dalle famiglie mafiose e dall’assenza delle istituzioni. Però penso che oltre alcune frange più estreme, ci siano valori positivi da tutelare con cui possiamo diminuire questo gap, avvicinarci a loro e normalizzare la vita di tutti, anche la nostra.
E come dice Caringella "Scusate se ho scritto tanto ma avevo poco tempo", vero caro abilitando Scalia?
Silvia D’Asaro: Grazie mille, Caringella, e grazie Dani..Ho un’idea. Avevo già pensato che ogni mese la zona (ma vero, perché lo chiamo “zona”..non saprei) avrebbe avuto “addosso” un diverso gruppo, in modo che ciascuno possa fare esperienza di ognuna di esse. Intanto forse occorre anche più di un mese per ciascun gruppo, ma potremmo, pensavo, anche stabilire di effettuare secondo un taglio diverso ogni ricerca mensile.
Che so, “Paesaggio e follia”..” Identità e potere” ..”la lingua e il lager“..”le radici delle solitudini”… “bellezza, immaginazione e necessità”, ecco, forse questi sarebbero i miei.
Vi proporrei d’indicare voi cinque possibili direzioni che vi interesserebbero per guardare sempre diversamente e cercare con più insistenza ciò che comunque ci sfuggirà, perché probabilmente non sono luoghi che ci “appartengono” ma io sento da tempo il bisogno non già di percepire come “meno estranei” e blabla, ma di “percepirli” davvero, chè già sarebbe tanto.
Perdonate le mie stronzate. Tanto ogni cosa scritta qui sarà vagliata, argomentata e discussa quando ci si vedrà, proprio per impedire che diventi un gioco borghese idiota, ma qualcosa che, pur richiedendo pazienza e ben più di un pizzico di illusione, venga auspicabilmente vissuto con serietà mai seriosa da tutti.
Ah, aggiungo che se conoscete psicologi e psicologhe ed antropologi o antropologhe e potete diffondere, fatelo! Abbiamo una “categoria” vuota, anche se credo che ci rimescoleremo tanto da poter evitare “paletti” inutili…ciào!
Danilo Maniscalco, sempre l’11 agosto, scrive: Ho bisogno di incontrarvi prima di proporre qualcosa e capire meglio quale dovrà essere il prodotto finale.Una cosa che stuzzica condividere sarebbe di estendere i nostri incontri, ad un certo punto a degli artisti( non necessariamente italiani...) e vedere con i loro occhi ciò che ai nostri potrebbe non apparire.Silvia, vediamoci presto!perchè non gestire il primo incontro allo Spasimo?Attendo comunicazioni!
Silvia risponde Hai ragione, Dani, ma qua mi sa che dobbiamo aspettare fine agosto.Va benissimo lo Spasimo. Stupenda l'idea degli artisti, accolgo in pieno, come penso tutti gli altri..Lo so, è limitante questo spazio virtuale, per... Visualizza altroò ci tocca trattenere l'ansia d'esprimerci, anche perchè forse se divoriamo adesso quintali di idee più o meno fantastiche,può darsi che al momento di iniziare saremo già quasi spompati..non so..lo dico a me, in realtà, visto che ci penso di continuo:)Se invece qualcuno di voi è disposto a fare un incontro a breve, inutile dirvi che io ci sono. So che Marta torna il 17, Giovanni parte il 16 e molti sono tutti un pò in giro per il mondo o per la Sicilia, com'è naturale che sia l'undici agosto...Fate voi..Baci!
Giovanni Romano: P er me va bene verso la fine di agosto. Lo Spasimo è ovviamente bellissimo, se disponibile e aperto. Proposta accolta, fissiamo un giorno di incontro.p.s.mi piacciono molto ” Identità e potere” ..”le radici delle solitudini”… “bellezza, immaginazione e necessità”. Bisogna pensarci bene, ma in particolare questi mi sembrano già molto molto interessanti.
12 agosto
bene, son contenta che ti piacciano, ma è aperta la selezione:)Sono temi vasti, che condenserei in alcune domande precise che, come suggerisce il crucco Gadamer, aprono diverse possibilit... Visualizza altroà e non pretendono di raggiungere delle risposte certe, ma solo indirizzare la ricerca verso un nodo concettuale intorno cui interrogarci tutti in un modo particolare. In un modo, cioè, che non si limita a tirare in ballo le nostre opinioni, i nostri pre-giudizi sull’argomento ( faccio ancora un pò di propaganda ermeneutica, via..i pregiudizi nella visione gadameriana non sono da intendersi negativamente, "pregiudiziali" direi, ma visto che siamo esseri storici e sempre cresciamo con delle idee che poi vagliamo di continuo nell’esperienza, smentendo o rafforzando nella loro validità, sono un tessuto che ci portiamo sempre dietro..l'importante è riconoscerli!) confrontandoli come in un talk show nel quale non si capisce più in che maniera un’opinione possa sembrare più “giusta” di un’altra...
Nell’ottica molto semplice- gratta gratta..- che ho in mente, le nostre prospettive si troverebbero a giocare con quello che vedremo, ascolteremo, sigilleremo precariamente attraverso foto, riprese ed interviste che , per quanto inevitabilmente deformati dai nostri occhi, orecchie e sensibilità vari, lascino però che si mostri ciò che davvero sono la natura, i luoghi e le persone che vivono nei posti che perlustreremo.
Partiamo, insomma, dalle cose stesse, come insegna la fenomenologia. E sulla base di quello che raccogliamo, originiamo dibattiti che – stabilito il tema di discussione- rispettino prima di tutto ci... Visualizza altroò che si è visto, arricchendo o impoverendo quanto assorbito attraverso il proprio personale modo di vedere il mondo, concepire l’uomo, le sue possibilità di riscatto, la sua debolezza e la sua “politicità”, direi. Questa è un'indicazione ermeneutica, ma è dallo scambio con voi che si potrà capire se può reggere o meno..
Non voglio affatto già indirizzarvi in qualche modo, senza nemmeno accorgermi fino in fondo di farlo, ma mi piacerebbe davvero se potessimo più di ogni cosa tutelare l’”oggetto” delle nostre ricerche, proprio perché è un “soggetto”, per di più composito, e non possiamo pretendere di inchiodarlo a definizioni, ma forse soltanto concedere che ci offra qualche spiraglio di avvicinamento nell’incontro che potrà essere percettivo, estetico, conoscitivo..si vedrà, insomma.
Riassumendo, una volta scelte insieme le tematiche che faranno da filo-conduttore, sarebbe per me importante se, prima di iniziare, ognuno di noi meditasse a fondo su ci... Visualizza altroò che pensa dell’argomento e lo raccontasse agli altri, in modo da vedere se può effettivamente mettere in discussione ciò che credeva o tornare sui suoi passi con più convinzione, ma solo grazie a ciò che l’”interrogato periferia” gli ha trasmesso, imponendosi sulle sue previe intuizioni.Ecco. Raffiniamo ulteriormente la ricerca. Ogni partecipante avrà delle aspettative. Le scriva o le dica. Ogni partecipante ipotizzerà un “metodo” peculiare di indagine. Lo scriva o lo dica. Vi ripeto. Io ho lanciato l’idea e Giovanni R mi chiama affettuosamente “la capa” (e le periferie,aggiunsi io..), ma non ho voglia di monopolizzare, anche perché ho davvero un macello di cose da fare nel frattempo, sicchè non posso nemmeno desiderare di vivere questo progetto come sua “direttrice”.
Sono convinta che tutto stia nel come distribuiamo i tempi della gestione. Se quelli riescono a garantire equit... Visualizza altroà, ed in questo posso cercare di impegnarmi di fare da coordinatrice, allora nessuno dovrà sentirsi subordinato. Insomma, se volete, io posso fare ciò che heideggerianamente è impossibile, ossia “disporre” del tempo, ma non chiedetemi di più. Se invece non avete voglia, come capisco benissimo possa accadere, di misurarvi pure con la costruzione di quest’ipotesi di ricerca e volete affidarvi a me, fate pure, ma siate sinceri fino in fondo e non imbavagliate eventuali dissensi. Una sola virtù probabilmente possiedo: non mi incazzo sul serio mai. Approfittatene.
Giovanni risponde:
Il finale mi sembra perfetto, cio... Visualizza altroè che non ti incazzi, anche se un pò sospetto, però può anche essere sincero in fondo.Sicuramente ho varie aspettative e forse è utile metterle in campo, come dire.. propositi di ricerca. Allo stesso tempo mi sembra utile sia l'idea di abbandonarsi all'oggetto fenomenico che vogliamo esaminare. Mi interessa molto fare vivere la "cosa" in sè, darle anima, vorrei essere più che un interprete un portavoce o un raccoglitore. Le periferie parlano da sole, dobbiamo solo farle diventare ascoltabili e rendere attenti i possibili destinatari. In questo dobbiamo essere bravi.Non so quale sia il metodo migliore di procedere; senza dubbio questi temi sono già assai vasti ed interessanti, per cui basterebbe già riflettere su questi.Dalla mia esperienza - piccola - dottorale ho imparato che troppe cose sono difficili da gestire e si rischia di essere superificiali.
Per cui credo che un compito difficile sia proprio selezionare il campo, la materia, la prospettiva, cercando di restringere il pi... Visualizza altroù possibile. Vorrei aggiungere, cara silvia, che un ruolo di coordinatore e necessario in qualsiasi lavoro di gruppo. Non credo che sia troppo impegnativo in termini di tempo e fatica, se tutti sappiamo essere maturi e capaci di darci un sistema.I gruppi lavorano bene e non sono destinati a smembrarsi se si individua una persona di riferimento che faccia da collante e che sia rappresentativa in qualche misura delle sensazioni di tutti; che raccolga, insomma, le risorse e le sappia indirizzare. Di solito questa figura - ma non per forza - coincide con il titolare dell'idea....
Rispondo il giorno dopo “va bene.. ma se assumo toni tirannici, levatemi di mezzo con dolcezza:)”
13 agosto
Dopo qualche giorno mi aggiungo al corpo della nota...(il brivido del potere di chi "dirige"virtualmente, wow.. e comunque è previsto il trasferimento virtuale di queste discussioni sul blog di Giovanni R: http://vitaaltrove.blogspot.com/..)"Piccola" confessione. Ho taciuto uno degli intenti associati a questo progetto. L’ ho buttata finora solo sulla bellezza perché è un bene che dovrebbe essere di tutti.Sono convinta davvero di questo, vorrei portarlo avanti come tema fondamentale dell'indagine, ma la bellezza può sorgere solo laddove c’è già una predisposizione al bello, e mi riferisco all'amministrazione che lo dovrebbe promuovere, naturalmente.Ho il cuore “sinistro”, che ci volete fare. E mi piacerebbe pretendere che questo studio indagasse le connessioni socio-politiche che rendono la periferia l’appannaggio dei voti di politici ben poco interessati a farla emergere dalle miserie conosciute e che cercheremo di scrutare più da vicino. Da tempo mi sono sforzata di tradurre il sospetto timoroso che la politica non possa più nemmeno essere pronunciata, in una piccolissima strategia infantile, che ha dimenticato ormai persino la sua origine e però, qui, va spiegata.La politica si può fare senza che la si dichiari apertamente tale, perché troppi si mostrano infastiditi appena sentono questo idioma e si ritraggono dall’avanzare le loro prospettive, temendo di restare incastrati in discorsi intollerabili sulle inadempienze di Tizio e Caio, la crisi economica, la crisi dei valori..berlusca e compagnia bella.Questo sarà un lavoro intrinsecamente ed estrinsecamente politico, sappiatelo.Ognuno di noi ha idee differenti e non ci sarà nessuna tessera a condizionarci. Ma politico , per come limitatamente può essere forse pensato oggi questo aggettivo, è forse soprattutto ciò che non si rivolge più alla propria esistenza per cercare possibili risposte, perché sente il bisogno di anteporre il sentirsi parte di una comunità alle deboli percezioni dell’individuo. E pretende un confronto con quella non solo per capire meglio la propria identità- che può forse dirsi semplicemente un effetto di quell’apertura- ma per comprendere un po’ meglio il proprio tempo, osservandolo, denunciandolo, andando al di là della denuncia stessa, perché ci si sente comunque suoi protagonisti.Ciò che s’impara è, insomma, la responsabilità che fa crescere, nel provare a supporre strategie che possano modificare consuetudini erronee e portarle avanti verso una loro effettiva realizzazione.Per farlo bisogna avere anche consapevolezza degli strumenti a propria disposizione.Il virtuale che c'entra?Abuso di Pierpaolo Pasolini, ma penso sia efficace per quello che voglio dire, linkarvi questo noto documento:http://www.youtube.com/watch?v=A3ACSmZTejQ&feature=relatedNon capitemi malissimo.Ho fatto più volte ragionamenti di questo tipo anche riguardo al virtuale.Sono molto d'accordo, inutile che ve lo nasconda, ma bisognerà andare contro Pasolini e cominciare a cambiare le idee all’interno dei “media” di massa come facebook.Il potere che in televisione viene dall’alto, su fb potrebbe essere ancora nostro. Non sprechiamolo, non facciamone un “involucro protettore”, cumulo di solitudini e pensieri che non trovano via di fuga che in digitazioni rapide o attività da dj con una tastiera.C’è la possibilità di pronunciare qui tutte le parole di scandalo, tutte le parole “vere” e non sappiamo quanto durerà.Facebook e l’impegno politico è un dualismo che non regge. Come qualunque social network, s’illude di far politica facendola online. Utile si, fondamentale per molte fasce di quelli che un tempo erano esclusi dall'informazione, il virtuale credo non possa tuttavia assolutamente prendersi la briga di annientare il reale. Perchè è qui che finiscono molte energie di coloro che "stanno bene" e non è giusto.Sto cercando di non demonizzarlo più, di non farne il capro espiatorio di tutti i malesseri della società, ma nel nostro caso ribadisco come facebook o il blog di Giovanni Romano verranno usati solo come ausilio, uno strumento per preparare o accompagnare effettivi incontri e soprattutto quei “rivolgimenti” che saranno incisivi se ciascuno sarà sufficientemente motivato a trasformare il senso di impotenza in azione. E questa azione sarà concepita in differenti maniere, ma ci sarà.Non diamo più udienza al mostro che impera da anni nelle nostre percezioni e che dice: “pensa, immagina, spera quanto vuoi, tanto tutto ciò che tenti sarà inutile”. È sempre possibile cambiare. Niente resta identico e se si fanno degli errori è comunque un modo per uscire dall’omologante visione sul serio apolitica di chi rinuncia a capire dove vive e perché vive in un certo modo e non in un altro, appellandosi a fatalità, destino, fortuna e tante altre amabili stronzate, che coloro che hanno avuto il privilegio di studiare non devono permettersi di incorporare con rassegnazione come tasselli indiscutibili a partire da cui si ridisegna il puzzle impazzito della società italiana.C'è un'immobilità preoccupante che mortifica i talenti, costringendoli ad andarsene? Sfidiamola. E cerchiamo alternative finora non pensate, sfruttando la gioventù e la sua fame incontenibile. Il vuoto di Potere che abbandona il sud lo possiamo riempire con i nostri poteri, infinitamente più intelligenti e sofisticati di quello, capace di ragionare esclusivamente in termini di produttività, ricatti, vilipendio del poco visibile e dell'invisibile.E tutto questo va fatto andando per strada e lasciando che chi non ha avuto voce cominci a parlare, raccontarsi, scoprire le sue delusioni e additare le sue speranze. "La parola fa l'uomo libero. Chi non si sa esprimere è uno schiavo." dice Feuerbach. Ma c'è chi non si può esprimere, proprio mentre trovano i più grandi spazi d'espressione coloro che non hanno nulla da dire o dicono intollerabili, offensive sciocchezze che, però, ci abituano a non provare più vergogna, tanto ingombranti e frequenti esse sono.Anche se questo progetto non decollerà, penso che saper pensare e agire"contro" vada difeso come fondamento della nostra democrazia, troppo poco consapevole di sè stessa e per questo capace di farsi sballottare qua e là da ogni omuncolo che sappia sedurla con qualche promessa mirabolante, naturalmente falsa.Seppelliamo ingenuità e non lasciamo che facciano di noi ciò che vogliono, anche molto più di quanto siamo capaci di capire fino in fondo. Svegliamoci tutti!Scusate se mi rivolgo ad un “noi” ipotetico. Scusatemi per questa generalizzazione ingiusta. Ma quando finalmente ho imparato che chi parla a nome dell’umanità non parla altro che di sé stesso, mi sono umiliata e reintrodotta negli abissi della mia interiorità, lasciando in tredici diversi studi sul rapporto tra privato e pubblico che da sempre mi ha reso inquieta e molto infelice. È per questo che forse ritorno con lo stesso stile di anni fa, ma con una consapevolezza che allora non avevo così chiara, per quanto elementare, e che enuncerò per concludere questi ultimi, lunghi pensieri lasciati sul web, giacché intendo vedervi e non annoiare più con la mia grafomania (e dire che è in via d’estinzione..):Da sola non posso fare davvero un tubo. Insieme, anche solo un tubicino inutile, possiamo farlo.

martedì 4 agosto 2009

I giovani infelici

Allego un brano tratto dalle Lettere luterane di Pierpaolo Pasolini. Le sue parole, anche se inserite nel contesto della società italiana post boom economico, sono ancora attuali e in alcuni passaggi assolutamente indispensabili.
E’ difficile credere ed accettare che oggi in Italia non si senta una voce anche da lontano paragonabile all’altezza di Pasolini. La verità con cui descrive la desolazione di contenuti, entusiasmi autentici, coraggio di lottare dei giovani di quel tempo si ritrova nell’immagine di conformismo paralizzante, inerte, qualunquista ed indifferente che – per fortuna solo in parte - io ritrovo oggi nei giovani di questo Paese post 11 settembre e crisi economica globale.
La schiettezza e la decisione con cui Pasolini attribuiva alla società dei consumi la perdita di vera identità e la stereotipizzazione degli individui in forma di automi con scarso animo e poco amore non si ritrova in nessun editoriale tra i più illustri che possano capitare sotto mano di questi tempi.

Che dire? Ottimismo, sempre ottimismo. Però Pasolini manca davvero.

Buona lettura

“Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri.
Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti….
…Confesso che questa tema del teatro greco io l’ho sempre accettato come qualcosa di estraneo al mio sapere accaduto “altrove” e in un “altro tempo”. Non senza una ingenuità scolastica, ho sempre considerato tale tema come assurdo e, a sua volta, ingenuo, “antropologicamente” ingenuo.
Ma poi è arrivato il momento della mia vita in cui ho dovuto ammettere di appartenere senza scampo alla generazione dei padri. Senza scampo, perché i figli non solo sono nati, non solo sono cresciuti, ma sono giunti all’età della ragione e il loro destino quindi, comincia ad essere ineluttabilmente quello che deve essere, rendendoli adulti.
Ho osservato a lungo in questi ultimi anni, questi figli. Alla fine, il mio giudizio, per quanto esso sembri anche a me stesso ingiusto e impietoso, è di condanna….
….Io ho qualcosa di generale, di immenso, di oscuro da rimproverare ai figli… Se io condanno i figli e quindi presuppongo una loro punizione, non ho il minimo dubbio che tutto ciò accada per causa mia. In quanto padre. In quanto uno dei padri. Uno dei padri che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico-fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine.
La colpa dei padri che i figli devono pagare è dunque il “fascismo”, sia nelle sue forme arcaiche, che nelle sue forme assolutamente nuove – nuove senza equivalenti possibili nel passato?
Mi è difficile ammettere che “la colpa” sia questa. Forse anche per ragioni private e soggettive. Io, personalmente, sono sempre stato antifascista, e non ho accettato mai neanche il nuovo potere di cui in realtà parlava Marx, profeticamente nel Manifesto, credendo di parlare del capitalismo del suo tempo. Mi sembra che ci sia qualcosa di conformistico e troppo logico – cioè non storico – nell’identificare in questo la colpa.
Sento ormai intorno a me lo “scandalo dei pedanti” a quanto sto per dire. Sento già i loro argomenti: è retrivo, reazionario, nemico del popolo chi non sa capire gli elementi sia pur drammatici di novità che ci sono nei figli, chi non sa capire che essi comunque sono vita. Ebbene, io penso, intanto, che anch’io ho diritto alla vita – perché pur essendo padre, non per questo cesso di essere figlio. Inoltre per me la vita si può manifestare egregiamente, per esempio, nel coraggio di svelare ai nuovi figli ciò che io veramente sento verso di loro. La vita consiste prima di tutto nell’imperterrito esercizio della ragione: non certo nei partiti presi, e tanto meno nel partito preso della vita, che è puro qualunquismo. Meglio essere nemici del popolo che nemici della realtà.
I figli che ci circondano, specialmente i più giovani, gli adolescenti, sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante, e quando non terrorizzante, è fastidiosamente infelice. Orribili pelami, capigliature caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti. Sono maschere di qualche iniziazione barbarica, squallidamente barbarica. Oppure sono maschere di una integrazione diligente e incosciente, che non fa pietà.
Dopo aver elevato verso i padri barriere tendenti a relegare i padri nel ghetto, si son trovati essi stessi nel ghetto opposto. Nei casi migliori, essi stanno aggrappati ai fili spinati di quel ghetto, guardando verso di noi, tuttavia uomini, come disperati mendicanti, che chiedono qualcosa solo con lo sguardo, perché non hanno coraggio, né forse capacità di parlare. Nei casi né migliori né peggiori (sono milioni) essi non hanno espressione alcuna: sono l’ambiguità fatta carne. I loro occhi sfuggono, il loro pensiero è perpetuamente altrove, hanno troppo rispetto o troppo disprezzo insieme, troppa pazienza o troppa impazienza. Hanno imparato qualcosa in più in confronto ai loro coetanei di dieci o vent’anni prima, ma non abbastanza. L’integrazione non è più un problema morale, la rivolta si è codificata. Nei casi peggiori sono dei veri e propri criminali. Quanti sono questi criminali? In realtà potrebbero esserlo quasi tutti. Non c’è gruppo di ragazzi, incontrato per strada, che non potrebbe essere un gruppo di criminali. Essi non hanno nessuna luce negli occhi: i lineamenti sono lineamenti contraffatti di automi, senza che niente di personale li caratterizzi da dentro. La stereotipia li rende infidi. Il loro silenzio può precedere una trepida domanda di aiuto o può precedere una coltellata. Essi non hanno più padronanza dei loro atti, si direbbe dei loro muscoli. Non sanno bene qual è la distanza tra causa ed effetto. Sono regrediti a una rozzezza primitiva. Se da una parte parlano meglio, ossia hanno assimilato il degradante italiano medio – dall’altra sono quasi afasici: parlano vecchi dialetti incomprensibili, o addirittura tacciono, lanciando ogni tanto urli gutturali e interiezioni tutte di carattere osceno. Non sanno sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare. In questa enorme massa ci sono delle nobili elites, a cui naturalmente appartengono i figli dei miei lettori. Ma questi miei lettori non vorranno sostenere che i loro figli sono dei ragazzi felici (disinibiti o indipendenti, come credono e ripetono certi giornalisti imbecilli, comportandosi come inviati fascisti in un lager). La falsa tolleranza ha reso significative, in mezzo alla massa dei maschi, anche le ragazze. Esse sono in genere, personalmente, migliori: vivono infatti un momento di tensione, di liberazione, di conquista (anche se in modo illusorio). Ma nel quadro generale la loro funzione finisce con l’essere regressiva. Una libertà “regalata” infatti non può vincere in esse, naturalmente, le secolari abitudini della codificazione.
Certo: i gruppi di giovani colti (del resto assai più numerosi di un tempo) sono adorabili perché strazianti. Essi, a causa di circostanze che per le grandi masse sono finora solo negative, e atrocemente negative, sono più avanzati, sottili, informati, dei gruppi analoghi di dieci o vent’anni fa. Ma che cosa possono farsene della loro finezza e della loro cultura?
Dunque, i figli che noi vediamo intorno a noi sono figli “puniti”, intanto dalla loro infelicità, e poi, in futuro, chissà da che cosa, da quali ecatombi…
... Resta sempre tuttavia, il problema di quale sia tale “colpa” dei padri…
…Come ho già accennato, intanto, dobbiamo liberarci dall’idea che tale colpa si identifichi col fascismo vecchio e nuovo, cioè coll’effettivo potere capitalistico. I figli che vengono oggi così crudelmente puniti dal loro modo di essere sono anche figli di antifascisti e comunisti.
Dunque fascisti e antifascisti, padroni e rivoluzionari hanno una colpa in comune. Tutti quanti noi, infatti fino ad oggi con inconscio razzismo, quando abbiamo parlato specificamente di padri e di figli, abbiamo sempre inteso parlare di padri e figli borghesi. La loro storia era la loro storia.
Il popolo, secondo noi, aveva una sua storia a parte, arcaica, in cui i figli, semplicemente reincarnavano e ripetevano i padri.
Oggi tutto è cambiato: quando parliamo di padri e di figli, se per padri continuiamo sempre a intendere i padri borghesi, per figli intendiamo sia i figli borghesi che i figli proletari. Il quadro apocalittico che io ho abbozzato qui sopra, dei figli, comprende borghesia e popolo.
Le due storie si sono dunque unite: ed è la prima volta che succede nella storia dell’uomo. Tale unificazione è avvenuta sotto il segno e per volontà della civiltà dei consumi: dello “sviluppo”.
Non si può dire che gli antifascisti in genere e in particolare i comunisti si siano veramente opposti a una simile unificazione, il cui carattere è totalitario.
La colpa dei padri dunque non è solo la violenza del potere, il fascismo. Ma è essa è anche:
primo, la rimozione dalla coscienza, da parte di noi antifascisti, del vecchio fascismo, l’esserci comodante liberati della nostra profonda intimità con esso;
secondo, l’accettazione – tanto più colpevole quanto più inconsapevole - della violenza degradante e dei veri, immensi genocidi del nuovo fascismo.
Perché tale complicità col vecchio fascismo e perché tale accettazione del nuovo fascismo?
Perché c’è un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante.
In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese.”

Pierpaolo Pasolini, “Lettere luterane”, 1976.

lunedì 3 agosto 2009

Assalti frontali

Sabato sera ho avuto la fortuna di trovarmi per caso al concerto degli Assalti frontali a Finale di Pollina.
Nel lontanissimo '96 alla facoltà di Lettere di Palermo il loro fu il mio primo concerto dal vivo. Capelli lunghi, vespino di un mio amico senza il permesso dei genitori e il primo impatto con il mondo "alternativo" di questa città
Riascoltarli dal vivo è stata una grande emozione.

Vi mando il link di due loro canzoni.
"Rotte indipendenti": http://www.youtube.com/watch?v=jDiIX09c2rg&feature=PlayList&p=E8E591FA4A92CB40&playnext=1&playnext_from=PL&index=34
e "Mappe della libertà":
http://www.youtube.com/watch?v=VND0iQ3rzoc&feature=PlayList&p=AB9A44516C110093&playnext=1&playnext_from=PL&index=14

Bravi Assalti. Dopo tredici anni una scintilla intatta nel cuore.
Anche io un pò - nel mio piccolo - militante o qualcosa del genere a modo mio.

Un abbraccio a tutti,

John Waine