venerdì 2 ottobre 2009

Altrove...

Non so se sia un qualcosa di innato o qualcosa che pian piano si costruisce dentro di noi grazie all’esistenza, giorno per giorno. Fin da piccolo sognavo già un “altrove”, un posto fantastico, un’isola tutta mia, incontaminata, dove vi erano palme, frutti coloratissimi, animali meravigliosi, tramonti arancio-porpora e soprattutto mare.
Il mio desiderio di evasione dalla realtà, dalla vita di tutti i giorni, si manifestava forse già così, attraverso la fantasia. Da bambini sembra più facile fantasticare; osservi il mondo da un punto di vista diverso e un ricordo, un oggetto, un’ azione, un pensiero ti rimane dentro per sempre, come una sorta di marchio che per te è stato importantissimo in quel preciso momento in cui lo hai vissuto. Sembri ricordare qualcosa di insignificante con incredibile memoria e con una ricchezza di particolari infiniti, rispetto a qualcosa che magari invece pensi dovresti ricordare meglio per importanza, situazioni particolari o vicinanza temporale. Riallacciandomi a ciò che Giovanni dice sul suo blog, parlando del sogno, se non esistono appunto i sogni, se non esiste il fantasticare o la speranza, la vita non avrebbe alcun senso.
La base di tutto quindi sembra essere il sogno (concetto amplissimo dai significati più svariati: speranza, evasione, autodifesa forse).
Qualche anno fa in televisione (la guardo raramente, salvo quando trasmette qualcosa di veramente interessante) stavo vedendo un programma sul mare e, durante un’ intervista, un uomo riportò una frase che diceva di aver sentito da un vecchio subacqueo da apnea, ormai morto, di cui però, purtroppo, non ricordo il nome; l’uomo gli aveva detto “quando un uomo avrà più ricordi che sogni, significherà che sta invecchiando”.
A mio avviso l’uomo sarebbe in grado di non smettere mai di sognare e potrebbe continuare a essere, pertanto, un essere che fantastica, osserva, apprende, provando immenso piacere (proprio come fanno i bambini).
Purtroppo, oggi, la vita frenetica e opprimente delle società moderne sembra sottrarre sempre più spazio al sogno. Sempre più immersi nella monotonia e nel caos distruttivo finiamo per essere passivi e ci accontentiamo di questo vivere, magari riusciamo pure a convincerci che ci piace. Resistono, però, alcune persone che pensano, fantasticano, sognano, e ancora più forte.
Quando fantastico e racconto ad amici o conoscenti cosa mi piacerebbe fare o dove andare a vivere “da grande”, alcuni interlocutori sembrano guardarmi stralunati; “ti annoieresti...”, ”io sto bene così …”, “io non potrei mai…” sono alcune fra le risposte più frequenti.
Non giudico la gente per ciò che pensa ma vorrei che si soffermassero anche un solo istante a comprendere anche il mio pensiero. Rifiutano tutto a priori, come se avessero una sorta di paura per provare a vivere una vita dell’ “altrove”, diversa da quella delle società moderne del mondo occidentale. Forse hanno “paura di sognare”.
Quando visito posti nuovi (ahimè! ho viaggiato pochissimo e mi sono limitato a girare la mia Sicilia a causa soprattutto del lavoro e degli impegni ad esso connessi) riprovo alcune di quelle intense sensazioni che provavo da bambino. Viaggiare e conoscere nuovi “altrove” generano in me curiosità, meraviglia e sensazioni indescrivibili. Da piccoli, forse per una questione biologica di evoluzione del pensiero atto all’apprendimento, siamo più portati a provare emozioni forti e meraviglie per qualcosa; dopo l’adolescenza questo piacere sembra scemare un po’ . Ma anche da adulto se ci si sofferma ad osservare qualcosa attentamente, proprio con gli occhi di un bambino, se si cerca di non marcire dentro un appartamento o dentro ad un’ auto, se si spezza la monotonia della società moderna, se si ha la capacità e la voglia di andare verso un “altrove” , ecco che ognuno di noi riesce nuovamente a percepire e a sentire quelle sensazioni che pensavi fossero morte da tempo. Vi racconto uno degli innumerevoli episodi che mi hanno permesso di sognare, osservare attentamente la realtà di un determinato momento e che adesso porto dentro come qualcosa indelebile, e che mi provoca stupore e piacere immenso ogni volta che provo a ricordarlo, che illumina e riscalda la mia vita come una brace a lenta combustione.
L’anno scorso sono stato seduto per circa un’ ora e mezza e con l’intenzione di provare meraviglia, sui ciottoli di una sponda del fiume Anapo, all’interno dell’omonima riserva naturale della Sicilia; sono riuscito nel mio intento e forse non pensavo di riuscirci così facilmente.
Ho osservato a lungo ed attentamente il fiume, che lento scorreva, ne ho assaporato gli odori, ho bevuto i suoi colori e sfumature di essi, ho sentito e toccato gli infiniti suoni dei suoi animali e delle sue piante. Un bellissimo uccello si è posato a circa 30 metri da me e lo ho osservato mentre immergeva il suo becco nell’acqua piatta, in cerca di cibo; il sole filtrava fra i rami della vegetazione illuminando una infinità di verdi ora vivi, ora scuri, ora opachi, ora lucidi; l’acqua, che scorreva lentissima, rifletteva il cielo, le nuvole e tutta la fitta vegetazione trasformandosi in un immenso e meraviglioso specchio che rifletteva tutto ciò che mi era di fronte; un gigantesco fico selvatico emanava il suo odore selvaggio e come una cupola si posava dolcemente sull’acqua, così da permettere ad un elegantissimo ed incantevole serpente acquatico di trovare un nascondiglio dopo essersi fatto ammirare, per circa un minuto, con il suo nuoto tranquillo e straordinario; ero avvolto dall’odore dei licheni, del muschio, dell’umidità, della terra e a pochi metri da me, sott’acqua, riuscivo a vedere il lento nuotare controcorrente di alcuni pesci di acqua dolce piccoli e grandi; sotto un ramoscello con delle foglie, ormai sottacqua, notavo per la prima volta nella mia vita un granchio di acqua dolce. Ogni tanto le foglie degli alberi, ad un leggero soffio del vento, sembravano bisbigliarmi il loro piacere di fare parte di questo insieme incantevole e ognuna aveva una voce diversa a seconda dell’albero o della pianta di cui faceva parte.
Su un ramo di un albero sopra la mia testa notai, grazie anche alle urla della mia ragazza che spezzarono questo momento paradisiaco :) , un topo grigio che sembrava ferito sul collo, ma che era riuscito a scappare da un qualche predatore che pochi minuti prima aveva smosso la vegetazione a noi vicina.
Questo è solo un piccolissimo resoconto delle innumerevoli sensazioni che ho vissuto in un arco di tempo molto ristretto (ma che magari potrebbe essere considerato lunghissimo dalla gente comune, visto che stavo seduto “senza fare niente” in riva ad un fiume) e in cui, se ti fermi ad osservare meglio la natura, riesci a far tue delle cose meravigliose che altrimenti avresti perduto. Innumerevoli sensazioni che puoi provare anche vivendo un luogo alle prime luci dell’alba…luogo che la gente comune non saprà mai come è fatto in quelle ore della notte e del giorno, e in molte altre maniere ancora.
L’altrove puoi ricercarlo sempre, ma solo se tu lo vuoi; è più facile e forse più bello ricercarlo in posti nuovi, che non hai mai visto, e che sono lontani dalla vita e dai luoghi di tutti i giorni. L’altrove puoi ricercarlo in tanti modi, ma quello che preferisco è starsene immerso nella natura osservando, fantasticando e fondendoti con essa.
A coloro che mi danno e che mi daranno sognatore, del bambino, del pazzo, forse del romantico, come al mio amico Giovanni, guarderò con una sorta di distacco ma anche di piacere. Una frase che dico sempre agli altri, una massima da me inventata (almeno, spero non la abbia detta mai nessuno, se no che bella figuraccia!), è : “Ho provato ad essere uno qualunque, ma non ci sono riuscito…”.

Gianluca Albeggiani.

sabato 19 settembre 2009

Destra e sinistra

Sto ripensando alle mie posizioni politiche, ci sto ripensando seriamente.Intendiamoci, non sarò mai fascista, né diventerò un uomo privo di spinte di tipo egualitario, nel senso socialista del termine.Però, allora, sto rivedendo la mia visione della politica quanto meno in Sicilia.Dove si trova l’alternativa alle destre in Sicilia? A sinistra. Cosa è la sinistra in Sicilia? Si apre il capitolo più difficile.Per anni abbiamo sentito la storia, la litanìa che la sinistra non vince perché c’è la mafia (è vero), che la sinistra non vince perché ci sono i brogli (verissimo), che la sinistra non vince perché non coesa, è divisa spesso su questioni fondamentali rispetto alle quali la destra mostra vigore e compattezza (ancora più vero).Ma non è solo questo. La sinistra a Palermo, in particolare, ed in Sicilia, con dovute e caute eccezioni non vince o vince poco perché non sa interpretare e conoscere la realtà. La sinistra non vince perché è lontana dalla gente dei ceti medio bassi e dei ceti, diciamo in modo banale, popolari.Chi sono gli interlocutori con cui gli uomini della destra parlano? Borghesi di sinistra. Professori universitari, professionisti, nobili di antica origine. E’ una colpa essere ricco ed essere di sinistra? E’ una contraddizione? No, non è una colpa né una contraddizione.Diventa una colpa ed una contraddizione quando però questa sinistra è lontana, lontanissima dal popolo, quando non sa parlare il linguaggio della gente comune, quando sa offrire alle persone solo cose inutilizzabili in una realtà difficile e pesante come Palermo.Palermo ha bisogno di lavoro, di legalità, di presenza dello Stato, di pulizia etica e materiale.Cosa risponde la sinistra? La sinistra parla arroccata nelle proprie posizioni elitarie, non sta in mezzo alla gente, non va – se non raramente – nei quartieri, non organizza i propri incontri elettorali decisivi (vedi Finocchiaro al Khalesa) nei quartieri popolari, non sa intercettare i bisogni dei disoccupati di Palermo, non sa affrontare quei problemi. Perché? Perché gli uomini della sinistra per lo più non hanno origini umili e per questo in modo naturale non sanno capire la realtà sotto-borghese e popolare. Perché la sinistra non si propone come un modello accettabile dalla gente ignorante. Perché in definitiva la sinistra nasce (questo non è un problema) e rimane (questa è una colpa) borghese.Cosa si potrebbe dire, a contrario? Perché invece la destra siciliana intercetta i voti ed i bisogni dei quartieri popolari? Perché per varie ragioni è più vicina, è più presente. Non voglio entrare nel merito di tutte le ragioni che stanno alla base di queste differenze ma ne voglio affrontare solo una, una delle più importanti.La sinistra siciliana, e palermitana in particolare, in quanto classe politica di esclusiva formazione borghese non accetta la crescita dal basso delle forze sociali. Non si forma all’interno della sinistra una classe emergente di lavoratori, intellettuali, professionisti che viene dal basso. Il riscatto sociale a sinistra non si può realizzare perché la sinistra è chiusa, è un cerchio rivestito di filo spinato che non permette a nessuno di entrare al vertice, di salire. Questo perché, ripeto, la sinistra in Sicilia nasce e sempre rimane solo borghese. La destra è piena di borghesi (medici, imprenditori, anche professionisti) - seppure meno della sinistra - ma contiene al suo interno anche soggetti di estrazione diversa, anche extraurbana. Questo è un dato fondamentale: in provincia – con poche eccezioni – vince l’udc, vince forza italia. La provincia di Palermo ed Agrigento è l’emblema di questa distanza borghese della sinistra. La vera periferia dove si celebra ogni giorno la distanza dello Stato è la provincia di Palermo e quella di Agrigento. La destra siciliana – lo devo dire - sa trovare il modo per avvicinare il popolo e lo sa irretire con (spesso false) promesse di crescita, raccogliendo così consensi. La destra siciliana è più aperta al popolo perché comprende che è soprattutto da lì che raccoglie i propri voti, dal momento che la sinistra trova ancoraggio nella maggior parte delle classi borghesi. Nella destra siciliana si possono allora realizzare le poche speranze del riscatto sociale, della crescita di soggetti provenienti dal basso che lentamente possono emergere. A destra sono pieni di consiglieri provinciali e regionali con poca istruzione o nessuna laurea. Quale è il vantaggio di ciò? Bisogna purtroppo dirlo: le persone dei ceti bassi e sotto-proletari sono più difese in questo modo, è la verità. Qualcuno riesce persino a trovare un lavoro così. E’ giusto? No, è sbagliato perché il lavoro andrebbe trovato sempre con la meritocrazia, sempre con la fatica e la qualità. Ma a sinistra come si fa a trovare lavoro se si è fuori dal cerchio sacro della borghesia? Non è possibile, perché la sinistra non rappresenta né difende gli interessi delle classi più basse e, di conseguenza, al di là dei guasti congeniti (mafia, brogli elettorali etc.) non raccoglierà mai i voti necessari a governare.Perché mi agito tanto contro la sinistra? Perché le sinistre da sempre hanno una responsabilità maggiore: sono la parte politica che per definizione deve difendere e fare gli interessi dei più deboli. Non è un fatto accettabile per la gente realmente di sinistra che nei quartieri popolari la gente voti solo a destra. Non è accettabile.E’ chiaro, ci sono ragioni a tale fenomeno.La sinistra siciliana ha una composizione storica e culturale diversa dalla sinistra di altre parti di Italia, che non a caso ha costituito da sempre lo zoccolo duro di questa area culturale e politica.Qui non ci sono fabbriche come al Nord, qui non è l’Emilia, la Toscana, dove pure i borghesi – anche più ricchi – ci sono sempre stati ma dove pura la componente operaia da sempre era fortissima.La Sicilia è terra di latifondo, di campieri e mafiosi, ma è anche un terra di contadini, di pescatori, di ex-contadini ed ex-pescatori. Cioè è una terra in cui la composizione sociale è fortemente caratterizzata dalla presenza di un ceto basso, potenziale votante della sinistra perché titolare di bisogni che la sinistra dovrebbe rappresentare e tutelare.Un altro aspetto.La mafia. La lotta alla mafia è duplice: si fa con le indagini, con i giudici che cercano di smantellare quelle trecento famiglie che governano la Sicilia. Ma si fa anche sul piano sociale, nei quartieri degradati dove la mafia alimenta consensi dalla infinita trascuratezza di uno Stato ogni giorno sempre troppo borghese e poco sociale.Le mie sono forse parole poco lucide perché anche dense di rabbia: la rabbia di chi forse ha capito definitivamente che la Sicilia con menti “di sinistra” come quelle che abbiamo avuto ed abbiamo non ha speranza e non ha futuro. La nostra sinistra non ha nessuna parentela né alcun legame con la realtà in cui invece dovrebbe operare. I suoi figli sono cresciuti nelle scuole per ricchi, hanno frequentato quelle stesse persone per anni, hanno trovato lavoro grazie a quei soliti giri di amicizie e conoscenze in una maniera molto italiana, alcuni di essi sono entrati nei quartieri popolari solo per comprare il fumo e fumarselo alle feste con amici fighetti alternativi.Questo tipo di sinistra, in definitiva, è solo un vezzo, una moda o una specie, ancora peggio, di moralista e vuota rivendicazione di una maggiore intelligenza, di una maggiore moralità, di una maggiore fantasia. Questo modo di porsi denuncia proprio il peggiore degli atteggiamenti borghesi: la demarcazione in una linea ben visibile tra i puri e gli impuri, tra quelli che hanno raccolto il sacro seme della verità (borghese) e quelli invece che per atavica eredità sono condannati ad una vita primordiale fatta di corruzione ed ignoranza.Pasolini ci ha insegnato che la cultura borghese è pessima proprio perché distrugge le altre culture, perché destituisce di senso le altre culture, imponendoci in modo fascista che esiste una sola cultura giusta (quella borghese) ed imponendoci il rifiuto delle altre culture (quella contadina, quella delle isole minori, quella dei paesi dell’entroterra, quella dei quartieri popolari e delle borgate).La sinistra è vittima di questo processo di cancellazione borghese: i suoi figli, quindi, - con pochissime e meravigliose eccezioni – non hanno un reale interesse verso la povertà e l’ignoranza. Allora dico questo: la colpa non è essere nati ricchi, anzi. Il borghese porta vantaggi alla società per la sua stessa condizione. E’ una preziosa risorsa. Egli che ha avuto la possibilità di studiare, di capire, che ha avuto tutti i mezzi possibili per conoscere la realtà ha il dovere di cambiarla se si reputa di sinistra perché ha una maggiore responsabilità verso i guasti del mondo in cui vive. Perché, a differenza di altri, ha avuto la possibilità di viaggiare e di leggere. Perché non è ignorante ed in quanto tale potrebbe scegliere di essere libero.Quale è il simbolo concreto di questo discorso? Peppino Impastato. Lui era figlio di un mafioso, aveva potere e poteva averne anche di più Ha deciso, per qualche motivo insondabile che cade all’improvviso nell’anima di un ragazzo, di diventare di sinistra e di lottare per qualcosa, per cambiare qualcosa. Da quello che abbiamo imparato di lui, dove stava? Dove viveva e combatteva?A CINISI! In mezzo alle persone, per strada. Questa è la sinistra – o in generale la politica che vorrei costruire ed in cui darei tutta la mia passione - alla quale mi inchino. Non quella parlottiera e stravagante che poi con finto moralismo è brava a lagnarsi e puntare l’indice contro i selvaggi che votano a frotte a destra.Mi dispiace per essermi dilungato ma avevo bisogno di dire queste cose.Io sono stanco di questo tipo di sinistra, per cui evidentemente non posso votare. D’ora in poi apprezzerò solo gli uomini, di destra, di centro o di sinistra, che conoscerò e che reputerò onesti, capaci, intelligenti.Se davvero un po’ di verità e di onestà è rimasta in fondo al cuore in persone di sinistra questi dovrebbero smetterla con i proclami borghesi e retorici e parlare in modo chiaro e comprensibile solo dei problemi della gente. Solo così questo partito può avere un senso altrimenti – come purtroppo credo – non sarà che un infantile gioco borghese e non rimarrà che confidare, come sempre accade in Sicilia, nell’onestà, nell’amore e nel coraggio di singoli eroi (di destra e di sinistra) senza sperare in un cambiamento culturale di tipo veramente radicale.

giovedì 20 agosto 2009

I luoghi del nostro cuore sono quelli della prima giovinezza

Mi trovo ormai da giorni Cefalù in un "ritiro spirituale da studio", stante l'esame orale di abilitazione che incombe, e che si materializerà il 5 di ottobre come un felino da domare.
Sto in un bel posto, dove riesco a studiare ma anche a respirare un po' dei profumi dell'estate.
Eppure, mi basta poco per far volare la mia mente lontano dai libri e dalla mia (comoda) prigionia, e desiderare di essere ALTROVE..
Io non sogno paradisi lontani mai visti, nè mondi lontanissimi; io sogno i luoghi in cui sono tornato tante volte, sin da quando ero bambino, e che per me hanno un sapore magico.
Ieri, su facebook, una ragazza scriveva che avrebbe studiato tutta la settimana per godere appieno di un "weekend eolico" (l'aggettivo è simpaticamente usato per le isole eolie, indipendentemente dal vento che si possa trovare tra le caverne che furono del dio Eolo). Ho subito provato forti sensazioni, respirando il profumo dei mari che conosco e in cui ho passato tante estati, dalla barca o dalla terra.
Voi mi direte che si tratta di posti molto vicini, sempe alla portata, e in alcuni angoli ormai troppo turistici, ma, proprio perchè a poche miglia da qui, il loro pensiero mi fa soffrire ancor d piu della mia condizione di "recluso"..
Il tramonto di "Pecorini" (porto più nascosto nell'isola di Filicudi) con le sue genti, sempre le stesse come in una piccola "Desolation row", Salina con i suoi boschi e conl e granite a "Lingua", l'odore di zolfo di Vulcano ..e poi Stomboli, vera perla del tirreno tra un cratere selvaggio, un paesino raffinato, ed un lato nascosto di ineguagliabile bellezza ..si chiama GINOSTRA, e lì c'è ancora tutto quello che altrove è stato ucciso dalla modernità..
..Altre volte provo nostalgia per l'Australia, che davvero forse non rivedrò più, ma il sapore dolceamaro è più attenuato, forse perchè, viaggiando, potrò trovare altre Australie, ma non troverò mai altrove quell'inconfondibile gusto "EOLICO"

CHI VIENE CON ME A STROMBOLI DOPO IL 5 OTTOBRE?
Johnpigs



giovedì 13 agosto 2009

Periferie e periferiche

Cari amici,
di seguito pubblico la nota relativa al gruppo di ricerca e/o documentazione che vorremmo costituire sul tema delle periferie di Palermo. Trasferiamo qualcosa anche su questo blog così da trovare uno spazio più raccolto di discussione e di commento. Gli amici del blog sono tutti invitati, se interessati a svolgere le proprie considerazioni.
A presto,

John Waine.


Tutto comincia il 5 agosto. Dopo alcune giornate mondelliane e palermitane in cui l’idea si apprestava a nascere dentro di me, ho segnalato l’impulso, sintetizzandolo nel desiderio di fare un progetto sulle periferie palermitane.
Il 6 sera mi incontro con Giovanni e Sergio, iniziando a mandare inviti ai possibili interessati.
Domenica 9 agosto pubblico su fb la nota “a voi”. E adesso si vedrà..un paio di mesi, meglio uno solo, per chiarire il tutto ed iniziare ad ottobre è quello che vorrei… Speriamo beneJ
La nota è questa, “taggata” a potenziali partecipanti e ad uno spettatore abruzzese –Andrea D’Emilio- che è stato dalla sottoscritta obbligato al silenzio, ma avevo piacere di coinvolgere nella visione di quel che si combina- mi auguro sul serio- in quel di Palermo:
“scrivete d'ora in poi, se vi va, tutto ciò che vi passa per la mente qui, per favore. Proposte, critiche, dubbi, domande, suggestioni.. Non sarà sostitutivo di incontri effettivi, ma può essere un ausilio impensatamente efficace.Vi riporto uno degli "inviti" fatti e la risposta di Daniela, tanto per cominciare.Buona giornata!"Meraviglia e rifiuto"In breve, dunque, trattasi di una ricerca su alcune zone palermitane, da sviscerare secondo differenti prospettive, per cercare la meraviglia (il bello dell'arte, della natura e degli uomini) ed il rifiuto ( lì dove questo non si vede per quali ragioni non si vede), ma senza procedere con l'idea di essere missionari, né giornalisti a caccia di scoop da inviare a striscia la notizia. Anche, per carità, ma in ogni caso non si guadagna nulla se non la possibilità di guardare le cose più da vicino, nel bene e nel male.Per questo, intanto, la prima caratteristica dei partecipanti dovrebbe essere un miscuglio d'interesse e sensibilità , cui si aggiungerebbe un talento-competenza specifici, da far fruttare in queste immaginate raccolte di materiali su cui discutere mensilmente insieme.Avrei un'infinità di cose da aggiungere, ma tanto ne parleremo meglio.Ricopio ciò che svevo scritto per ringraziare i primi due aderenti all'iniziativa, ossia Sergio e Giovanni R."Partendo dal presupposto che ci vorranno molta lucidità, entusiasmo ma non esaltazione, impegno serio a non prevaricare e tante variabili che non sarà facile coordinare, prometto di volermi esprimere con pacatezza "filosoficamente", incuriosita sul serio delle idee e competenze degli altri.Il “Metodo” non è questo. Questo è più l’atteggiamento che intendo perseguire io, quindi non imponibile.Il metodo dovrebbe essere, invece, ricapitolando:1. ricerca previa sul territorio attraverso vari strumenti (già qualcosa l’ho cercata, poi vi dico)2. richiesta a chi ha già effettuato indagini di varia natura sul territorio in questione di poterci dare delle illuminazioni, che se tali saranno stabiliremo poi.3. Indagini sul campo, da collaudare volta per volta, lasciandoci guidare da chi ne sa di più in determinati ambiti, ma senza oscurare il bisogno di far ricerca in proprio secondo un gusto ed una sensibilità personali, che non vanno per nessuna ragione mortificati dall'idea di "farpartediungruppo"... è difficile, ma si può.Obiettivo: non solo documentario, magari, ma principalmente si. Non dobbiamo “fare del bene”, ma capire cosa c’è dietro questa periferia.. Il disagio è un mito? Stanno bene e siamo noi a recepirli come “poveracci”? Che modelli ci sono? Quanti immigrati ci sono e come vivono? Sono integrati? E tanto, tanto altro. La domanda “Dove abiti? “, come appuravamo ieri stesso dai racconti di Giovanni sulle “giovani di viale Strasburgo”, sembra aprire la strada per un’identificazione quasi immediata, lo sappiamo. Agisce in noi un modo di fare lombrosiano inevitabilmente? Chissà cosa ci diranno gli antropologi.Ognuno arriva con un gruppo di ipotesi di ricerca, possibilmente. Sapere che musica si ascolta, per dirne una…più domande si fanno meglio è, e le interviste saranno necessarie, come avevo pensato anch’io nei miei appunti in mezzo ad altro che recupererò, e come diceva ieri Giovanni.Chi siamo? Allora..ancora è da definire, comunque:PRIMO GRUPPO (GIURISTI/E “SENSIBILI”): Sergio, Giovanni, Francesco, Giovanni Porcelli ? e Silvia? (amici di Giovanni)SECONDO GRUPPO (ARCHITETTI): Chiara? , Danilo , Vincenzo?, Naida, DarioTERZO GRUPPO (PSICOLOGI-GHE/ANTROPOLOGI-GHE): ?QUARTO GRUPPO (FILOSOFI-E): Rosanna, forse Giovanni, Giancarlo che potrebbe far da jolly come Pasquale,Patrizia e Massimiliano (non l'ho ancora chiesto, ma spero vogliano-possano entrambi) ed io.Le zone sono:Borgo vecchio, Zen, Borgo nuovo, Zisa e Brancaccio, da "studiare", analizzando e sintetizzando in varie maniere, nei contrasti e nelle similitudini con le zone contigue- etichettate come non degradate (e dovremmo interrogarci anche su questo, mi sa…quale degrado ci interessa scoprire? Quello della munnizza? Quello dell’anima? E di chi? Di un gruppo, di un singolo? Un quartiere rende ragione davvero dei suoi abitanti? Io ed Amoroso abbiamo molto in comune solo perché viviamo nello stesso palazzo? Mmmsi..siamo pazzi, si! Su, volevo scherzare un po’..sollevare questioni comunque non fa male..)-.Il mio desiderio è far parlare queste zone poco visibili, ma finora credo solo di aver giustamente insinuato il dubbio nelle vostre coscienze che tutto ciò che vorrei è semplicemente compagnia per visitarle…Dopo un approccio di tipo puramente rudimentale per avere un minimo di familiarità con il luogo, però, cosa che farò in queste settimane, naturalmente intendo insistere.Ciascuno avrà in mente qualcosa di diverso da chi gli sta accanto ed è un bene. L'importante è contenere le spinte all’ ”iperdirezione”, chiamiamola così, nella consapevolezza che ciascuno prenderà per sé da questa esperienza- se veramente riusciremo a realizzarla- ciò che più l’aggrada, ok, ma si spera riesca a riconoscersi facente parte di un progetto e come suo "elemento" riesca, quindi, a lavorare.Sarà un modo anche per vedere come ciascuno sa stare in una piccola comunità senza troppa arroganza, ma con originalità, che dite?Io farei un documentario anche dei nostri incontri..Basta in fondo parlarne ed essere certi che non ci saranno capi assoluti (ad esempio ogni serata di confronto verrà concepita in modo da alternare rigorosamente i ruoli, senza che ci si possa cristallizzare in figure attive o passive..poi vi dico cosa ho pensato, in modo elementare, cmq..).Bene. Volevo insomma ancora ringraziarvi per ieri sera..ovviamente pensate e appuntate ciò che vi viene in mente, chè ci aspettano ancora settimane di elaborazione del progetto prima di passare alla seconda fase di sua lunga realizzazione. Non verrà mai come lo delineeremo, qualora anche riuscissimo a metterci tutti d'accordo, ma può essere un'occasione per capire meglio cosa voglia dire “periferico”, “comune” e tanto altro.Io voglio crederci con voi, anche se sarà una fatica onerosa in più, nelle vostre giornate già impegnatissime. Grazie davvero della disponibilità."Daniela mi scrive: Cara Silvia,solo stamattina leggo con attenzione quello che mi hai inviato. Avrei già molte domande. Capisco che vi siete già incontrati e che il tutto avrà, credo, più concretezza di quanta ne possa avere adesso per me se non altro perché è stato possibile vedere interagire un gruppo di persone sull'argomento.Dove tu dicevi di "cercare la meraviglia e il rifiuto" io immaginavo la condizione di un osservatore privilegiato che avrebbe dovuto allenare il suo sguardo per cercare di far parlare le cose. Molto letterario e filosofico se vuoi, molto affascinante per me, ma leggendo oltre capisco che,per fortuna, mi sono sbagliata.Io non so quello che tu già hai prodotto, non so se avete in mente di far parlare le persone, ma credo che sarebbe davvero interessante.Da quello che mi dici mi sembra che tu proponga qualcosa che sta a metà tra l'antropologia e la ricerca storica e molte altre cose che potrebbero diventare diventare un'inchiesta sui giovani o su qualcos'altro (oddio mi vengono in mente esempi presuntuosi come quelle di Pasolini o di Agosti! :)). Insomma la cosa è molto stimolante.Solo una cosa. Quando parli di periferie la prima cosa che mi viene in mente è che ci sono molte persone (che conosco) che vivono a Brancaccio o in quartieri che noi immaginiamo degradati.Ricordiamocelo. Vivono lì solo perché gli affitti e le case sono meno cari ma poi magari ascoltano musica più colta e raffinata di quella che sento io. Mi era venuta in mente l'idea di far parlare anche loro. Ma poi è soprappevunuto il pensiero spiacevole che potessero sentirsi degli interessanti oggetti antropologici.Non il metodo, ma l'atteggiamento come dici tu, sarà molto importante. Mi piacerebbe parlarne anche con gli altri ragazzi.A presto,baciuzzi Silvia risponde: Tesoro, è ancora tutto in fieri. Te ne ho parlato a caldissimo, ma in realtà è da decidere insieme proprio in queste settimane. Certo, le persone devono parlare! L'unica cosa che abbiamo cercato di stabilire con Sergio e Giovanni l'altra sera sono state le zone, ma solo per contenerle in un numero determinato, visto che ogni mese ogni gruppo composito dovrebbe "indagare" un quartiere, per poi lavorare su un altro il mese successivo..Io volevo anche Brancaccio, Settecannoli e via dicendo, ma poi è venuta l'idea della contiguità di queste- che non sono tutte periferie..Borgo vecchio può dirsi un'enclave!- con quartieri finge "perbene"...non so se mi spiego,scrivo celermente, ma tanto ne parleremo de visu.Non mi ha ispirato una vena pasoliniana, ma forse nasce da un istinto a tentare di scrivere un pezzettino di storia non borghese. E se il progetto riuscisse a concretizzarsi, potremmo continuare a setacciare tutta la città. Ce la dobbiamo riprendere, dobbiamo conoscerla e frantumare antiche e vetuste distinzioni, sapendo bene come ognuno di noi avrà sempre una sua Palermo nel cuore..ma creare un terreno comune di dibattito penso possa farci del bene. Poi non so..si vedrà..A prestissimo,SilviaLo stesso titolo è solo orientativo e non ce ne sarebbe bisogno.. Sono volgari deformazioni filofilosofiche le mie, chi mi conosce lo sa..
Giovanni Romano: Non so come faccio ad aggiungermi al corpo della nota, scusate la mia ignoranza del mondo facebook....Leggo con piacere l'intervento di daniela e mi trovo d'accordo su molti punti, soprattutto sulla tecnica della ricerca (io infatti preferirei interviste). Fare parlare la gente penso sia la cosa davvero pi... Visualizza altroù interessante, piuttosto senza dubbio che far parlare me, ad esempio....Penso dovremmo solo scegliere un'ossatura di ricerca su cui basare tutto; non so un tema oppure in senso ancora più interessante anche soltanto una domanda o due domande.Una volta ero andato in giro per palermo alcune sere con un amico a fermare persone per strada (volevo, a mio dire, fare un documentario sulla vita notturna di Palermo: mondo fighetto, alternativo, etc.). Devo dire che dopo l'iniziale imbarazzo la gente parlava, ma solo perchè, credo, le domande erano nette e precise. Poi la cosa naufragò per altri motivi, che non vi spiego. Io avevo pensato: "Qual è il tuo sogno?". Il resto da sè...
ai confini della realtà e dei sogni palermitani
Daniela Rosano: Ciao Giovanni, sono contenta di ritrovarti qui..sono curiosa di conoscere le risposte che la gente ti ha dato in quell'occasione..penso che ognuno di noi ha un progetto in mente per questa cosa, a me era venuta voglia di fare una cosa del genere (interviste a persone che normalmente non parlano e in cui non siano le domande a determinare le risposte)dopo aver visto il bellissimo documentario di S. Agosti "D'amore si vive", in cui anche il momento dell'intervista è ridotto al minimo e le persone si raccontano per lo più spontaneamente. L'intervistatore cerca una vera comunicazione con gli interlocutori facendogli dire delle cose sorprendenti.Mi rendo conto che era Agosti,che erano altri tempi , che non era la Sicilia e che il tema non c'entra nulla con il nostro ma lo spirito con cui è stato condotto questo film-documentario mi affascina moltissimo. Credo che chiedesse anche lui alle persone qual era il loro sogno o che idea avevano di felicità. Che non sarà facile lo sappiamo.
Giovanni Romano: Abbastanza d'accordo Daniela, anche a me piace Agosti e ho visto anche io "D'amore si vive". Direi che potremmo fare un misto con "Comizi d'amore". Insomma, ci riempiamo d'amore tutti quanti...E cmq sì, anche "Cosa è per te la felicità?" è una bellissima domanda. Senza dubbio, hai ragione.
Giovanni Porcelli :Ehi Gio, ricordo bene quel reportage sullE vitE a Palermo! ..Il filmino è una delle poche cose insieme interessanti e da ridere da matti...Bella idea Silvia, anche se, in questo momento, più che dei quartieri di Palermo ho voglia di Parlare del tramonto di Ginostra nell'isola di Stromboli nelle sere di settembre.. ma per questo esiste lo spazio adatto..
heh, ti capisco..ma infatti l'idea è gettare il seme ora per cominciare a lavorarci nelle stagioni più dure da sopportare, senza incanti naturali ed occasioni di impagabile relax:)Vinicio dice "Tutte quelle romanticherie, i tramonti, il mare, sono sempre lì; sono io che spesso manco."evviva i tramonti, sempre..farai bene a non perderteli, baci!
..
Aggiungo qualcosa io..Dalla periferia guardi cosa c’è dentro e cosa c’è fuori in un modo che nessuno che non ha abitato lì riuscirà a far suo, probabilmente. Questo potrei anche immaginare…ma è una visione troppo poetica.. io cerco l’umano, onestamente..e lo voglio cercare ovunque, senza filtri intellettualoidi idioti. Volevo capire fino a che punto regge la relazione tra posto in cui si vive e ciò che si è…
Mi piacerebbe, per esempio, se oltre alle ricerche su più piani, prendessimo come punti di riferimento una famiglia sicula ed una di “immigrati”- o un immigrato- per ogni zona da intervistare nei cinque mesi, sondando abitudini, modi di vedere il mondo, la sua città e anche quello che c’è oltre, a pochi metri. Quante similitudini e differenze ci sono davvero..cosa vuol dire "essere palermitano" secondo loro..
vuol dire qualcosa? Nella zona contigua “perbene”, pur lasciando che parlino molto da soli i contrasti del territorio, farei invece domande su ciò che pensano e quanto conoscono la realtà che hanno vicinissimo, come spendono i loro soldi, cosa pensano dell’amministrazione cittadina e che sogni hanno, come propone giustamente Giovanni. E inviterei alcuni di loro a commentare con noi la periferia osservandola..
Perché la zona ci determina? Non sono piuttosto le esperienze che facciamo, le facce che incontriamo e le idee che ci costringono a fare nostre o a rigettare a seconda di come viviamo? Solo la cultura può salvare? Questa dovrebbe essere la nostra lettura? Non ci penso nemmeno. Io non voglio procedere come una scassacazzi, spocchiosa, laureata, dottoranda che si è potuta permettere anche le crisi depressive essendo comunque figlia della media borghesia. La cultura è un lusso. Esiste un altro modo di vivere bene che travalica la nozione ma passa comunque dalla bellezza. Cosa è la bellezza per te, questo chiederei. Perché che la bellezza possa salvare il mondo è la sola illusione che mi sento di trattenere oggi. E la bellezza è anche per strada… non so..per adesso mi fermo..ci si vede presto, buona serata
Daniela Rosano: Sono d'accordo, saper apprezzare la bellezza è senza dubbio il modo più sano di stare al mondo..e come dici tu la cultura non è condizione necessaria e a volte nemmeno sufficiente..certo sperare che la zona- come la chiami tu- non ci determini è molto bello..se uno ha la fortuna di nascere e trascorrere la sua vita nel centro di Firenze ovunque si giri attorno lo sguardo gli rimanderà solo immagini di perfezione e armonia e il suo animo (animo?non so come chiamarlo) non potrà restare indifferente..se invece si trova a vivere nel bel mezzo dello Zen -Gregotti può dire quello che vuole- gli sarà più difficile costruirsi un'idea di bellezza..insomma la zona secondo me ci determina ma non produce una sorta di predestinazione..soltanto esistono diversi modi di apprezzare la bellezza e laddove non c'è questa va inventata..penso per esempio alle banlieue parigine (dico la prima minchiatache mi viene) che, dopo tutto il casino,hanno iniziano a lanciare trend culturali -musica, arti visive..-
'è voluto tutto il casino prima però, ovvero una sorta di processo per ottenere un'identificazione precisa..insomma una conquista..potrei spararle grosse..è tardi e mi fermo qui.
Giovanni Romano: Penso che il contesto in cui ci muoviamo ci determini in modo assolutamente decisivo. Non si può prescindere da questo. Tuttavia, esistono delle vie di fuga. Ad esempio, la ribellione contro la contaminazione e il conformismo culturale che reca l’appartenenza ad un gruppo o una comunità (una strada, un condominio, un quartiere) può avvenire in qualsiasi uomo. Anche l'individuo meno consapevole e colto può ergersi contro la realtà in cui vive.Questa prospettiva – a mio parere da adoperare nella nostra inchiesta - può significare scoprire le realtà diverse che esistono dentro uno stesso quartiere, del genere degradato: persone che non si riconoscono nei codici e negli schemi di quel quartiere e che però hanno una forza critica; individui semplicemente chiusi in sé stessi oppure una terza ipotesi: immigrati in via di integrazione che riescono ad influenzare in qualche modo – ancora forse molto lentamente – alcune abitudini (pensate alla frutta esotica che si vende a Ballarò, agli annessi negozi delle africane per fare le treccine e così via).
Credo anche con franchezza che ci voglia davvero molta pazienza e molto amore per capire le borgate di Palermo se in realtà mai ci si è vissuto. Non è banale dirlo: in una realtà come la nostra, una cosa è passare fugacemente per una strada, altra cosa è viverne i problemi e le sue realtà come propri. I percorsi personali a volte ti permettono di segnare la tua esperienza di immagini assolutamente preziose e insostituibili a confronto con i romanzi che leggi o i film che vedi. Sono cresciuto alla Zisa, ho giocato per lungo tempo a calcio a Borgo Nuovo e grazie al calcio penso di aver conosciuto tantissime tipologie di palermitani, ragazzi normali e ragazzi senza dubbio disagiati. Ho abitato in questi ultimi anni nella zona vicina alla stazione, piena di studenti fuori sede, famiglie popolari e immigrati.
Al contempo ho fatto le medie al Garibaldi, il liceo all’Umberto con i suoi gruppetti musicali e i centri sociali, l’università e il dottorato a Giurisprudenza, ho praticato studi legali frequentati da gente molto ricca. Frequento - come molti – molti locali normali e alcuni locali – oh, my god - alla moda. Ho avuto la fortuna, davvero grossa in questa città, di interagire più o meno a fondo con categorie diverse di persone.Non so a quanti miei colleghi sia capitato di leggere negli anni sul giornale i nomi di propri compagni di infanzia arrestati per rapine o scippi o furti. Ma non è un dispiacere né un vanto: è andata così. Anzi, penso che ci siano ovviamente persone che ne sanno molto di più di me su questa faccenda. Io stesso, infatti, faccio parte ovviamente della middle-class palermitana che può permettersi il lusso di guardare le cose con un minimo di distacco.
Però voglio essere consapevole della mia limitatezza e del fatto che questa middle-class non forma la parte più consistente di Palermo.Di una cosa sono certo: la conoscenza di cosa sia la realtà popolare non si fonda su libri e film; necessita per forza di una profonda esperienza personale, altrimenti resta solo un gioco borghese infantile. Il mio bilancio mi porta a pensare che davvero Palermo sia divisa in due parti: da un lato una minoranza ricca o medio-ricca che vive in un metro quadro di plastica ovattata, inconsapevole, fintamente spensierata, che gira sempre negli stessi posti ogni sera, che frequenta le stesse persone da secoli, che crede di avere il dominio della città ed invece nemmeno conosce un terzo della stessa.
Da un altro lato, il grosso della città è costituito da borgate, grandi, piccole, con codici, abitudini, gerarchie, famiglie potenti e meno potenti, immigrati africani, bengalesi e cinesi, violenza e normalità, pulizia e sporcizia, tradizioni culturali quasi immutabili, feste di piazza con i cantanti, degrado e ansia di movimento.A cosa può servire allora una indagine su questo tema nel rischio dello scherzo borghese e stupido? Vedere quali sono le analogie, eliminare la retorica delle differenze finte, capire le differenze reali, documentare storie normali di persone normali che vivono però relegate in realtà di secondo piano, in cui si negano virtù e vantaggi che in altre zone della città sono invece simbolo e vanto.
O ancora mostrare come la città sia del tutto in mano in realtà ai gruppi mafiosi che controllano pienamente il territorio, evidenziare l’assenza totale dello Stato nelle aree più vaste e più a rischio, denunciare le anormalità a cui alcuni palermitani (la maggior parte) sono abituati a vivere da anni per decisione di altri. Dire ad alta voce che una parte di Palermo è sorda e chiusa in sé stessa e non si cura di ciò che succede altrove, perché protetta e cullata ogni giorno in una sorta di grasso moto perpetuo dal proprio benessere e dal proprio potere; quell’opulenza e quel potere che permettono di tenere lontana l’immondizia (anzi, ultimamente nemmeno quella..)
Mi sembra chiaro che questi elementi condizionino la crescita di una persona, la formazione della sua identità, l’elaborazione di un senso relazionale con la parte “borghese” della città di assoluto conflitto, di frustrazione in attesa di rivalsa oppure di sodalizio in senso criminale o ancora più semplicemente di mera incomunicabilità.Le parole che si parlano in alcune parti di Palermo non sono comprensibili all’altra Palermo; ci sono strade i cui nomi sono del tutto ignoti. Per molti Corso dei Mille non è più Palermo perché lontana dal sacro quadrilatero Piazza Politeama, via Libertà, Stadio, Addaura Reef. Quelle facce sono per molti troppo brutte da sopportare; stare accanto a qualcuno di loro viene visto quasi come un disonore con un senso di borghese, potente, compiaciuta, arrogante superiorità.
Posso dire che quando giocavo a calcio era difficile comunicare, quasi impossibile e nella maggior parte dei casi ero anche emarginato. Ma ho provato a levarmi di dosso la faccia della persona che giudica, ho provato a parlare il loro linguaggio, a condividere i problemi, a ridere alle battute. Con alcuni non è cambiato nulla; continuavano con i ... Visualizza altroloro pregiudizi a vedermi come il ragazzo che va al liceo o come lo studente di Giurisprudenza che non può capire un cazzo delle loro cose. Con altri invece la magia alcune volte scattava: alcuni mi prendevano in simpatia, si interessavano del mio esame di diritto privato e mi registravano orgogliosi cassette di Mario Trevi (n.b. cantante neomelodico…). Alcune volte uscivamo anche insieme la sera e mi offrivano sempre da bere con una generosità tale che non ho riscontrato mai in seguito nel più ricco delle persone incontrate nel mondo borghese.
Alcuni mi sembravano solo ignoranti, rozzi, violenti, stupidi, schiavi anche loro di un conformismo non meno pericoloso del nostro. Altri invece mi sembravano persone vere, che lavoravano, che avevano sogni autentici, perché conoscevano poche parole e non avevano bisogno di parlare il linguaggio delle persone inutili e viziate. Questo allora mi sembra il senso: trovare una normalità comune, possibile, comprensibile.Penso che ci sia una violenza difficile da superare nella cultura di alcune borgate, supportata dalle famiglie mafiose e dall’assenza delle istituzioni. Però penso che oltre alcune frange più estreme, ci siano valori positivi da tutelare con cui possiamo diminuire questo gap, avvicinarci a loro e normalizzare la vita di tutti, anche la nostra.
E come dice Caringella "Scusate se ho scritto tanto ma avevo poco tempo", vero caro abilitando Scalia?
Silvia D’Asaro: Grazie mille, Caringella, e grazie Dani..Ho un’idea. Avevo già pensato che ogni mese la zona (ma vero, perché lo chiamo “zona”..non saprei) avrebbe avuto “addosso” un diverso gruppo, in modo che ciascuno possa fare esperienza di ognuna di esse. Intanto forse occorre anche più di un mese per ciascun gruppo, ma potremmo, pensavo, anche stabilire di effettuare secondo un taglio diverso ogni ricerca mensile.
Che so, “Paesaggio e follia”..” Identità e potere” ..”la lingua e il lager“..”le radici delle solitudini”… “bellezza, immaginazione e necessità”, ecco, forse questi sarebbero i miei.
Vi proporrei d’indicare voi cinque possibili direzioni che vi interesserebbero per guardare sempre diversamente e cercare con più insistenza ciò che comunque ci sfuggirà, perché probabilmente non sono luoghi che ci “appartengono” ma io sento da tempo il bisogno non già di percepire come “meno estranei” e blabla, ma di “percepirli” davvero, chè già sarebbe tanto.
Perdonate le mie stronzate. Tanto ogni cosa scritta qui sarà vagliata, argomentata e discussa quando ci si vedrà, proprio per impedire che diventi un gioco borghese idiota, ma qualcosa che, pur richiedendo pazienza e ben più di un pizzico di illusione, venga auspicabilmente vissuto con serietà mai seriosa da tutti.
Ah, aggiungo che se conoscete psicologi e psicologhe ed antropologi o antropologhe e potete diffondere, fatelo! Abbiamo una “categoria” vuota, anche se credo che ci rimescoleremo tanto da poter evitare “paletti” inutili…ciào!
Danilo Maniscalco, sempre l’11 agosto, scrive: Ho bisogno di incontrarvi prima di proporre qualcosa e capire meglio quale dovrà essere il prodotto finale.Una cosa che stuzzica condividere sarebbe di estendere i nostri incontri, ad un certo punto a degli artisti( non necessariamente italiani...) e vedere con i loro occhi ciò che ai nostri potrebbe non apparire.Silvia, vediamoci presto!perchè non gestire il primo incontro allo Spasimo?Attendo comunicazioni!
Silvia risponde Hai ragione, Dani, ma qua mi sa che dobbiamo aspettare fine agosto.Va benissimo lo Spasimo. Stupenda l'idea degli artisti, accolgo in pieno, come penso tutti gli altri..Lo so, è limitante questo spazio virtuale, per... Visualizza altroò ci tocca trattenere l'ansia d'esprimerci, anche perchè forse se divoriamo adesso quintali di idee più o meno fantastiche,può darsi che al momento di iniziare saremo già quasi spompati..non so..lo dico a me, in realtà, visto che ci penso di continuo:)Se invece qualcuno di voi è disposto a fare un incontro a breve, inutile dirvi che io ci sono. So che Marta torna il 17, Giovanni parte il 16 e molti sono tutti un pò in giro per il mondo o per la Sicilia, com'è naturale che sia l'undici agosto...Fate voi..Baci!
Giovanni Romano: P er me va bene verso la fine di agosto. Lo Spasimo è ovviamente bellissimo, se disponibile e aperto. Proposta accolta, fissiamo un giorno di incontro.p.s.mi piacciono molto ” Identità e potere” ..”le radici delle solitudini”… “bellezza, immaginazione e necessità”. Bisogna pensarci bene, ma in particolare questi mi sembrano già molto molto interessanti.
12 agosto
bene, son contenta che ti piacciano, ma è aperta la selezione:)Sono temi vasti, che condenserei in alcune domande precise che, come suggerisce il crucco Gadamer, aprono diverse possibilit... Visualizza altroà e non pretendono di raggiungere delle risposte certe, ma solo indirizzare la ricerca verso un nodo concettuale intorno cui interrogarci tutti in un modo particolare. In un modo, cioè, che non si limita a tirare in ballo le nostre opinioni, i nostri pre-giudizi sull’argomento ( faccio ancora un pò di propaganda ermeneutica, via..i pregiudizi nella visione gadameriana non sono da intendersi negativamente, "pregiudiziali" direi, ma visto che siamo esseri storici e sempre cresciamo con delle idee che poi vagliamo di continuo nell’esperienza, smentendo o rafforzando nella loro validità, sono un tessuto che ci portiamo sempre dietro..l'importante è riconoscerli!) confrontandoli come in un talk show nel quale non si capisce più in che maniera un’opinione possa sembrare più “giusta” di un’altra...
Nell’ottica molto semplice- gratta gratta..- che ho in mente, le nostre prospettive si troverebbero a giocare con quello che vedremo, ascolteremo, sigilleremo precariamente attraverso foto, riprese ed interviste che , per quanto inevitabilmente deformati dai nostri occhi, orecchie e sensibilità vari, lascino però che si mostri ciò che davvero sono la natura, i luoghi e le persone che vivono nei posti che perlustreremo.
Partiamo, insomma, dalle cose stesse, come insegna la fenomenologia. E sulla base di quello che raccogliamo, originiamo dibattiti che – stabilito il tema di discussione- rispettino prima di tutto ci... Visualizza altroò che si è visto, arricchendo o impoverendo quanto assorbito attraverso il proprio personale modo di vedere il mondo, concepire l’uomo, le sue possibilità di riscatto, la sua debolezza e la sua “politicità”, direi. Questa è un'indicazione ermeneutica, ma è dallo scambio con voi che si potrà capire se può reggere o meno..
Non voglio affatto già indirizzarvi in qualche modo, senza nemmeno accorgermi fino in fondo di farlo, ma mi piacerebbe davvero se potessimo più di ogni cosa tutelare l’”oggetto” delle nostre ricerche, proprio perché è un “soggetto”, per di più composito, e non possiamo pretendere di inchiodarlo a definizioni, ma forse soltanto concedere che ci offra qualche spiraglio di avvicinamento nell’incontro che potrà essere percettivo, estetico, conoscitivo..si vedrà, insomma.
Riassumendo, una volta scelte insieme le tematiche che faranno da filo-conduttore, sarebbe per me importante se, prima di iniziare, ognuno di noi meditasse a fondo su ci... Visualizza altroò che pensa dell’argomento e lo raccontasse agli altri, in modo da vedere se può effettivamente mettere in discussione ciò che credeva o tornare sui suoi passi con più convinzione, ma solo grazie a ciò che l’”interrogato periferia” gli ha trasmesso, imponendosi sulle sue previe intuizioni.Ecco. Raffiniamo ulteriormente la ricerca. Ogni partecipante avrà delle aspettative. Le scriva o le dica. Ogni partecipante ipotizzerà un “metodo” peculiare di indagine. Lo scriva o lo dica. Vi ripeto. Io ho lanciato l’idea e Giovanni R mi chiama affettuosamente “la capa” (e le periferie,aggiunsi io..), ma non ho voglia di monopolizzare, anche perché ho davvero un macello di cose da fare nel frattempo, sicchè non posso nemmeno desiderare di vivere questo progetto come sua “direttrice”.
Sono convinta che tutto stia nel come distribuiamo i tempi della gestione. Se quelli riescono a garantire equit... Visualizza altroà, ed in questo posso cercare di impegnarmi di fare da coordinatrice, allora nessuno dovrà sentirsi subordinato. Insomma, se volete, io posso fare ciò che heideggerianamente è impossibile, ossia “disporre” del tempo, ma non chiedetemi di più. Se invece non avete voglia, come capisco benissimo possa accadere, di misurarvi pure con la costruzione di quest’ipotesi di ricerca e volete affidarvi a me, fate pure, ma siate sinceri fino in fondo e non imbavagliate eventuali dissensi. Una sola virtù probabilmente possiedo: non mi incazzo sul serio mai. Approfittatene.
Giovanni risponde:
Il finale mi sembra perfetto, cio... Visualizza altroè che non ti incazzi, anche se un pò sospetto, però può anche essere sincero in fondo.Sicuramente ho varie aspettative e forse è utile metterle in campo, come dire.. propositi di ricerca. Allo stesso tempo mi sembra utile sia l'idea di abbandonarsi all'oggetto fenomenico che vogliamo esaminare. Mi interessa molto fare vivere la "cosa" in sè, darle anima, vorrei essere più che un interprete un portavoce o un raccoglitore. Le periferie parlano da sole, dobbiamo solo farle diventare ascoltabili e rendere attenti i possibili destinatari. In questo dobbiamo essere bravi.Non so quale sia il metodo migliore di procedere; senza dubbio questi temi sono già assai vasti ed interessanti, per cui basterebbe già riflettere su questi.Dalla mia esperienza - piccola - dottorale ho imparato che troppe cose sono difficili da gestire e si rischia di essere superificiali.
Per cui credo che un compito difficile sia proprio selezionare il campo, la materia, la prospettiva, cercando di restringere il pi... Visualizza altroù possibile. Vorrei aggiungere, cara silvia, che un ruolo di coordinatore e necessario in qualsiasi lavoro di gruppo. Non credo che sia troppo impegnativo in termini di tempo e fatica, se tutti sappiamo essere maturi e capaci di darci un sistema.I gruppi lavorano bene e non sono destinati a smembrarsi se si individua una persona di riferimento che faccia da collante e che sia rappresentativa in qualche misura delle sensazioni di tutti; che raccolga, insomma, le risorse e le sappia indirizzare. Di solito questa figura - ma non per forza - coincide con il titolare dell'idea....
Rispondo il giorno dopo “va bene.. ma se assumo toni tirannici, levatemi di mezzo con dolcezza:)”
13 agosto
Dopo qualche giorno mi aggiungo al corpo della nota...(il brivido del potere di chi "dirige"virtualmente, wow.. e comunque è previsto il trasferimento virtuale di queste discussioni sul blog di Giovanni R: http://vitaaltrove.blogspot.com/..)"Piccola" confessione. Ho taciuto uno degli intenti associati a questo progetto. L’ ho buttata finora solo sulla bellezza perché è un bene che dovrebbe essere di tutti.Sono convinta davvero di questo, vorrei portarlo avanti come tema fondamentale dell'indagine, ma la bellezza può sorgere solo laddove c’è già una predisposizione al bello, e mi riferisco all'amministrazione che lo dovrebbe promuovere, naturalmente.Ho il cuore “sinistro”, che ci volete fare. E mi piacerebbe pretendere che questo studio indagasse le connessioni socio-politiche che rendono la periferia l’appannaggio dei voti di politici ben poco interessati a farla emergere dalle miserie conosciute e che cercheremo di scrutare più da vicino. Da tempo mi sono sforzata di tradurre il sospetto timoroso che la politica non possa più nemmeno essere pronunciata, in una piccolissima strategia infantile, che ha dimenticato ormai persino la sua origine e però, qui, va spiegata.La politica si può fare senza che la si dichiari apertamente tale, perché troppi si mostrano infastiditi appena sentono questo idioma e si ritraggono dall’avanzare le loro prospettive, temendo di restare incastrati in discorsi intollerabili sulle inadempienze di Tizio e Caio, la crisi economica, la crisi dei valori..berlusca e compagnia bella.Questo sarà un lavoro intrinsecamente ed estrinsecamente politico, sappiatelo.Ognuno di noi ha idee differenti e non ci sarà nessuna tessera a condizionarci. Ma politico , per come limitatamente può essere forse pensato oggi questo aggettivo, è forse soprattutto ciò che non si rivolge più alla propria esistenza per cercare possibili risposte, perché sente il bisogno di anteporre il sentirsi parte di una comunità alle deboli percezioni dell’individuo. E pretende un confronto con quella non solo per capire meglio la propria identità- che può forse dirsi semplicemente un effetto di quell’apertura- ma per comprendere un po’ meglio il proprio tempo, osservandolo, denunciandolo, andando al di là della denuncia stessa, perché ci si sente comunque suoi protagonisti.Ciò che s’impara è, insomma, la responsabilità che fa crescere, nel provare a supporre strategie che possano modificare consuetudini erronee e portarle avanti verso una loro effettiva realizzazione.Per farlo bisogna avere anche consapevolezza degli strumenti a propria disposizione.Il virtuale che c'entra?Abuso di Pierpaolo Pasolini, ma penso sia efficace per quello che voglio dire, linkarvi questo noto documento:http://www.youtube.com/watch?v=A3ACSmZTejQ&feature=relatedNon capitemi malissimo.Ho fatto più volte ragionamenti di questo tipo anche riguardo al virtuale.Sono molto d'accordo, inutile che ve lo nasconda, ma bisognerà andare contro Pasolini e cominciare a cambiare le idee all’interno dei “media” di massa come facebook.Il potere che in televisione viene dall’alto, su fb potrebbe essere ancora nostro. Non sprechiamolo, non facciamone un “involucro protettore”, cumulo di solitudini e pensieri che non trovano via di fuga che in digitazioni rapide o attività da dj con una tastiera.C’è la possibilità di pronunciare qui tutte le parole di scandalo, tutte le parole “vere” e non sappiamo quanto durerà.Facebook e l’impegno politico è un dualismo che non regge. Come qualunque social network, s’illude di far politica facendola online. Utile si, fondamentale per molte fasce di quelli che un tempo erano esclusi dall'informazione, il virtuale credo non possa tuttavia assolutamente prendersi la briga di annientare il reale. Perchè è qui che finiscono molte energie di coloro che "stanno bene" e non è giusto.Sto cercando di non demonizzarlo più, di non farne il capro espiatorio di tutti i malesseri della società, ma nel nostro caso ribadisco come facebook o il blog di Giovanni Romano verranno usati solo come ausilio, uno strumento per preparare o accompagnare effettivi incontri e soprattutto quei “rivolgimenti” che saranno incisivi se ciascuno sarà sufficientemente motivato a trasformare il senso di impotenza in azione. E questa azione sarà concepita in differenti maniere, ma ci sarà.Non diamo più udienza al mostro che impera da anni nelle nostre percezioni e che dice: “pensa, immagina, spera quanto vuoi, tanto tutto ciò che tenti sarà inutile”. È sempre possibile cambiare. Niente resta identico e se si fanno degli errori è comunque un modo per uscire dall’omologante visione sul serio apolitica di chi rinuncia a capire dove vive e perché vive in un certo modo e non in un altro, appellandosi a fatalità, destino, fortuna e tante altre amabili stronzate, che coloro che hanno avuto il privilegio di studiare non devono permettersi di incorporare con rassegnazione come tasselli indiscutibili a partire da cui si ridisegna il puzzle impazzito della società italiana.C'è un'immobilità preoccupante che mortifica i talenti, costringendoli ad andarsene? Sfidiamola. E cerchiamo alternative finora non pensate, sfruttando la gioventù e la sua fame incontenibile. Il vuoto di Potere che abbandona il sud lo possiamo riempire con i nostri poteri, infinitamente più intelligenti e sofisticati di quello, capace di ragionare esclusivamente in termini di produttività, ricatti, vilipendio del poco visibile e dell'invisibile.E tutto questo va fatto andando per strada e lasciando che chi non ha avuto voce cominci a parlare, raccontarsi, scoprire le sue delusioni e additare le sue speranze. "La parola fa l'uomo libero. Chi non si sa esprimere è uno schiavo." dice Feuerbach. Ma c'è chi non si può esprimere, proprio mentre trovano i più grandi spazi d'espressione coloro che non hanno nulla da dire o dicono intollerabili, offensive sciocchezze che, però, ci abituano a non provare più vergogna, tanto ingombranti e frequenti esse sono.Anche se questo progetto non decollerà, penso che saper pensare e agire"contro" vada difeso come fondamento della nostra democrazia, troppo poco consapevole di sè stessa e per questo capace di farsi sballottare qua e là da ogni omuncolo che sappia sedurla con qualche promessa mirabolante, naturalmente falsa.Seppelliamo ingenuità e non lasciamo che facciano di noi ciò che vogliono, anche molto più di quanto siamo capaci di capire fino in fondo. Svegliamoci tutti!Scusate se mi rivolgo ad un “noi” ipotetico. Scusatemi per questa generalizzazione ingiusta. Ma quando finalmente ho imparato che chi parla a nome dell’umanità non parla altro che di sé stesso, mi sono umiliata e reintrodotta negli abissi della mia interiorità, lasciando in tredici diversi studi sul rapporto tra privato e pubblico che da sempre mi ha reso inquieta e molto infelice. È per questo che forse ritorno con lo stesso stile di anni fa, ma con una consapevolezza che allora non avevo così chiara, per quanto elementare, e che enuncerò per concludere questi ultimi, lunghi pensieri lasciati sul web, giacché intendo vedervi e non annoiare più con la mia grafomania (e dire che è in via d’estinzione..):Da sola non posso fare davvero un tubo. Insieme, anche solo un tubicino inutile, possiamo farlo.

martedì 4 agosto 2009

I giovani infelici

Allego un brano tratto dalle Lettere luterane di Pierpaolo Pasolini. Le sue parole, anche se inserite nel contesto della società italiana post boom economico, sono ancora attuali e in alcuni passaggi assolutamente indispensabili.
E’ difficile credere ed accettare che oggi in Italia non si senta una voce anche da lontano paragonabile all’altezza di Pasolini. La verità con cui descrive la desolazione di contenuti, entusiasmi autentici, coraggio di lottare dei giovani di quel tempo si ritrova nell’immagine di conformismo paralizzante, inerte, qualunquista ed indifferente che – per fortuna solo in parte - io ritrovo oggi nei giovani di questo Paese post 11 settembre e crisi economica globale.
La schiettezza e la decisione con cui Pasolini attribuiva alla società dei consumi la perdita di vera identità e la stereotipizzazione degli individui in forma di automi con scarso animo e poco amore non si ritrova in nessun editoriale tra i più illustri che possano capitare sotto mano di questi tempi.

Che dire? Ottimismo, sempre ottimismo. Però Pasolini manca davvero.

Buona lettura

“Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri.
Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti….
…Confesso che questa tema del teatro greco io l’ho sempre accettato come qualcosa di estraneo al mio sapere accaduto “altrove” e in un “altro tempo”. Non senza una ingenuità scolastica, ho sempre considerato tale tema come assurdo e, a sua volta, ingenuo, “antropologicamente” ingenuo.
Ma poi è arrivato il momento della mia vita in cui ho dovuto ammettere di appartenere senza scampo alla generazione dei padri. Senza scampo, perché i figli non solo sono nati, non solo sono cresciuti, ma sono giunti all’età della ragione e il loro destino quindi, comincia ad essere ineluttabilmente quello che deve essere, rendendoli adulti.
Ho osservato a lungo in questi ultimi anni, questi figli. Alla fine, il mio giudizio, per quanto esso sembri anche a me stesso ingiusto e impietoso, è di condanna….
….Io ho qualcosa di generale, di immenso, di oscuro da rimproverare ai figli… Se io condanno i figli e quindi presuppongo una loro punizione, non ho il minimo dubbio che tutto ciò accada per causa mia. In quanto padre. In quanto uno dei padri. Uno dei padri che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico-fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine.
La colpa dei padri che i figli devono pagare è dunque il “fascismo”, sia nelle sue forme arcaiche, che nelle sue forme assolutamente nuove – nuove senza equivalenti possibili nel passato?
Mi è difficile ammettere che “la colpa” sia questa. Forse anche per ragioni private e soggettive. Io, personalmente, sono sempre stato antifascista, e non ho accettato mai neanche il nuovo potere di cui in realtà parlava Marx, profeticamente nel Manifesto, credendo di parlare del capitalismo del suo tempo. Mi sembra che ci sia qualcosa di conformistico e troppo logico – cioè non storico – nell’identificare in questo la colpa.
Sento ormai intorno a me lo “scandalo dei pedanti” a quanto sto per dire. Sento già i loro argomenti: è retrivo, reazionario, nemico del popolo chi non sa capire gli elementi sia pur drammatici di novità che ci sono nei figli, chi non sa capire che essi comunque sono vita. Ebbene, io penso, intanto, che anch’io ho diritto alla vita – perché pur essendo padre, non per questo cesso di essere figlio. Inoltre per me la vita si può manifestare egregiamente, per esempio, nel coraggio di svelare ai nuovi figli ciò che io veramente sento verso di loro. La vita consiste prima di tutto nell’imperterrito esercizio della ragione: non certo nei partiti presi, e tanto meno nel partito preso della vita, che è puro qualunquismo. Meglio essere nemici del popolo che nemici della realtà.
I figli che ci circondano, specialmente i più giovani, gli adolescenti, sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante, e quando non terrorizzante, è fastidiosamente infelice. Orribili pelami, capigliature caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti. Sono maschere di qualche iniziazione barbarica, squallidamente barbarica. Oppure sono maschere di una integrazione diligente e incosciente, che non fa pietà.
Dopo aver elevato verso i padri barriere tendenti a relegare i padri nel ghetto, si son trovati essi stessi nel ghetto opposto. Nei casi migliori, essi stanno aggrappati ai fili spinati di quel ghetto, guardando verso di noi, tuttavia uomini, come disperati mendicanti, che chiedono qualcosa solo con lo sguardo, perché non hanno coraggio, né forse capacità di parlare. Nei casi né migliori né peggiori (sono milioni) essi non hanno espressione alcuna: sono l’ambiguità fatta carne. I loro occhi sfuggono, il loro pensiero è perpetuamente altrove, hanno troppo rispetto o troppo disprezzo insieme, troppa pazienza o troppa impazienza. Hanno imparato qualcosa in più in confronto ai loro coetanei di dieci o vent’anni prima, ma non abbastanza. L’integrazione non è più un problema morale, la rivolta si è codificata. Nei casi peggiori sono dei veri e propri criminali. Quanti sono questi criminali? In realtà potrebbero esserlo quasi tutti. Non c’è gruppo di ragazzi, incontrato per strada, che non potrebbe essere un gruppo di criminali. Essi non hanno nessuna luce negli occhi: i lineamenti sono lineamenti contraffatti di automi, senza che niente di personale li caratterizzi da dentro. La stereotipia li rende infidi. Il loro silenzio può precedere una trepida domanda di aiuto o può precedere una coltellata. Essi non hanno più padronanza dei loro atti, si direbbe dei loro muscoli. Non sanno bene qual è la distanza tra causa ed effetto. Sono regrediti a una rozzezza primitiva. Se da una parte parlano meglio, ossia hanno assimilato il degradante italiano medio – dall’altra sono quasi afasici: parlano vecchi dialetti incomprensibili, o addirittura tacciono, lanciando ogni tanto urli gutturali e interiezioni tutte di carattere osceno. Non sanno sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare. In questa enorme massa ci sono delle nobili elites, a cui naturalmente appartengono i figli dei miei lettori. Ma questi miei lettori non vorranno sostenere che i loro figli sono dei ragazzi felici (disinibiti o indipendenti, come credono e ripetono certi giornalisti imbecilli, comportandosi come inviati fascisti in un lager). La falsa tolleranza ha reso significative, in mezzo alla massa dei maschi, anche le ragazze. Esse sono in genere, personalmente, migliori: vivono infatti un momento di tensione, di liberazione, di conquista (anche se in modo illusorio). Ma nel quadro generale la loro funzione finisce con l’essere regressiva. Una libertà “regalata” infatti non può vincere in esse, naturalmente, le secolari abitudini della codificazione.
Certo: i gruppi di giovani colti (del resto assai più numerosi di un tempo) sono adorabili perché strazianti. Essi, a causa di circostanze che per le grandi masse sono finora solo negative, e atrocemente negative, sono più avanzati, sottili, informati, dei gruppi analoghi di dieci o vent’anni fa. Ma che cosa possono farsene della loro finezza e della loro cultura?
Dunque, i figli che noi vediamo intorno a noi sono figli “puniti”, intanto dalla loro infelicità, e poi, in futuro, chissà da che cosa, da quali ecatombi…
... Resta sempre tuttavia, il problema di quale sia tale “colpa” dei padri…
…Come ho già accennato, intanto, dobbiamo liberarci dall’idea che tale colpa si identifichi col fascismo vecchio e nuovo, cioè coll’effettivo potere capitalistico. I figli che vengono oggi così crudelmente puniti dal loro modo di essere sono anche figli di antifascisti e comunisti.
Dunque fascisti e antifascisti, padroni e rivoluzionari hanno una colpa in comune. Tutti quanti noi, infatti fino ad oggi con inconscio razzismo, quando abbiamo parlato specificamente di padri e di figli, abbiamo sempre inteso parlare di padri e figli borghesi. La loro storia era la loro storia.
Il popolo, secondo noi, aveva una sua storia a parte, arcaica, in cui i figli, semplicemente reincarnavano e ripetevano i padri.
Oggi tutto è cambiato: quando parliamo di padri e di figli, se per padri continuiamo sempre a intendere i padri borghesi, per figli intendiamo sia i figli borghesi che i figli proletari. Il quadro apocalittico che io ho abbozzato qui sopra, dei figli, comprende borghesia e popolo.
Le due storie si sono dunque unite: ed è la prima volta che succede nella storia dell’uomo. Tale unificazione è avvenuta sotto il segno e per volontà della civiltà dei consumi: dello “sviluppo”.
Non si può dire che gli antifascisti in genere e in particolare i comunisti si siano veramente opposti a una simile unificazione, il cui carattere è totalitario.
La colpa dei padri dunque non è solo la violenza del potere, il fascismo. Ma è essa è anche:
primo, la rimozione dalla coscienza, da parte di noi antifascisti, del vecchio fascismo, l’esserci comodante liberati della nostra profonda intimità con esso;
secondo, l’accettazione – tanto più colpevole quanto più inconsapevole - della violenza degradante e dei veri, immensi genocidi del nuovo fascismo.
Perché tale complicità col vecchio fascismo e perché tale accettazione del nuovo fascismo?
Perché c’è un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante.
In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese.”

Pierpaolo Pasolini, “Lettere luterane”, 1976.

lunedì 3 agosto 2009

Assalti frontali

Sabato sera ho avuto la fortuna di trovarmi per caso al concerto degli Assalti frontali a Finale di Pollina.
Nel lontanissimo '96 alla facoltà di Lettere di Palermo il loro fu il mio primo concerto dal vivo. Capelli lunghi, vespino di un mio amico senza il permesso dei genitori e il primo impatto con il mondo "alternativo" di questa città
Riascoltarli dal vivo è stata una grande emozione.

Vi mando il link di due loro canzoni.
"Rotte indipendenti": http://www.youtube.com/watch?v=jDiIX09c2rg&feature=PlayList&p=E8E591FA4A92CB40&playnext=1&playnext_from=PL&index=34
e "Mappe della libertà":
http://www.youtube.com/watch?v=VND0iQ3rzoc&feature=PlayList&p=AB9A44516C110093&playnext=1&playnext_from=PL&index=14

Bravi Assalti. Dopo tredici anni una scintilla intatta nel cuore.
Anche io un pò - nel mio piccolo - militante o qualcosa del genere a modo mio.

Un abbraccio a tutti,

John Waine

giovedì 30 luglio 2009

Vulcani e comete

Segnalo questo bellissimo sito gestito da un astronomo italiano appassionato di comete e vulcani. E' ricco di foto e video da Stromboli al Krakatoa.
Visitatelo, ne vale la pena.

http://www.swisseduc.ch/stromboli/index-en.html


John Waine

IL SOGNO DI STANOTTE

Ciao a tutti!
Questa notte ho fatto un sogno molto spettacolare, direi cinematografico; non si tratta, in realtà, nè di un bel sogno nè comunque di un incubo, del quale non possiede l'atmosfera tetra e angosciante.
Mi trovavo una sera con amici abituali (ma non saprei dire esattamente chi fossero) davanti ad un cancello che conduceva ad una discesa a mare; forse per fare il classico bagno di notte. Discutevamo davanti al cancello, ma di cosa non mi è dato ricordare..
E' passato del tempo, poi mi sono ritrovato davanti al mare su una piattaforma rocciosa, ma con la piena luce del giorno ..e con un forte vento teso.
Individuata personalmente la migliore postazione sulla piattaforma, indugiavo nello stendere il mio telo, inpiedi, mentre gli altri erano già stesi sotto il sole. Ed allora una forte ondata li ha sommersi, mentre io, verticale, venivo solo bagnato..
Nella sequenza successiva siamo sempre li, allegri e spensierati ma alle prese con il vento sempre più forte, che fa volare via e poi planare sull'acqua un pacco di biscotti del Mulino bianco (mentre dissuado Mauro Venuti, era lui!, dal tuffarsi nella corrente rapidissima per recuperarlo!).
Ed ecco il capolavoro scenico: un'onda anomala che parte come la precedente, ma che si alza come un grattacielo, e sommerge i miei mentre prendono il sole ..e me, sempre inpiedi!
Il bello è che non destava in me particolare timore, piuttosto entusiasmo per l'enormità del fenomeno!
Il risveglio in piena notte con l'immagine dell'onda anomala neglli occhi, però, mi ha meso qualche brivido..
Johnpigs

lunedì 27 luglio 2009

Il segreto dell'amore eterno?

Ciao a tutti, esordisco con un pezzo non scritto da me ma da Francesco Alberoni su cui ho posato gli occhi stamattina, pensando subito dopo di condividerlo con voi. Una bella ed interessante lettura che mi trova pienamente d'accordo su molti punti.... buona lettura :)


Il segreto dell’amore eterno? Quel continuo perdersi e ritrovarsi
Il segreto è la continua ricerca del mistero dell’altro


Ho studiato a lungo l’innamora­mento, il processo in cui rapida­mente siamo affascinati da una perso­na, pensiamo solo a lei, la desideria­mo disperatamente, non possiamo far­ne a meno e vogliamo vivere insieme per sempre. E ho approfondito soprat­tutto il processo di fusione, in cui gli innamorati cercano una unione totale del corpo e dello spirito. Si raccontano e rivivono insieme le proprie vite, sciol­gono i legami amorosi di un tempo, si identificano e si plasmano l’uno sul­l’altro fino a provare gli stessi senti­menti, a desiderare le stesse cose, a co­struire un comune progetto di vita.

La fusione spiega la forza della pas­sione amorosa nel periodo dell’inna­moramento. Ma non spiega perché la passione, il continuo bisogno dell’al­tro e il desiderio erotico in certi casi possano durare anni e anni e addirit­tura crescere. Nei romanzi e nei film, il desiderio dura perché c’è un ostaco­lo, un impedimento, un nemico, un ri­vale che impedisce la sua realizzazio­ne. Quando cioè il processo di fusione viene rallentato o impedito da fattori esterni. Quando questi cessano di agi­re i due finalmente si amano e la sto­ria finisce. Di essi si dice solo che «vis­sero felici e contenti». Nella realtà di solito resta un amore intenso ma in cui lentamente l’erotismo si attenua finché non prevalgono la tenerezza e l’affetto.

Però ci sono anche dei casi in cui in­vece la passione amorosa ed erotica continua con la forza delle origini. Quando avviene? Quando i due inna­morati, pur amandosi appassionata­mente, ricreano in se stessi la distan­za e il desiderio. E come possono far­lo? Quando riscoprono continuamente la loro incolmabile diversità, per cui, anche se si raccontano tutto, sentono che le loro esperienze restano inacces­sibili. Perfino quando sono erotica­mente uniti, fusi, sono consapevoli di non sapere cosa prova veramente l’amato. Il grande amore che dura è perciò una continua ricerca e una con­tinua scoperta del mistero dell’altro. L’amato è infinitamente vicino eppu­re, di colpo, anche infinitamente lonta­no. Allora rinasce il desiderio. L’amo­re è costituito strutturalmente tanto dalla distanza e dalla mancanza come dalla ricerca e dal ritrovamento. L’amore che dura non è uno stato, ma un succedersi di oscurità e di luci in­cantevoli. È un continuo perdersi e un meraviglioso ritrovarsi nuovi. È come un cuore che pulsa: un susseguirsi del vuoto — la diastole, e del pieno — la sistole. Non è statico, è fatto di onde, come il mare, come la luce.

Francesco Alberoni

(....Ulisse)

giovedì 23 luglio 2009

Da tempo, osservando le persone, rifiutando le solite e opinabili categorizzazioni quali simpatico/antipatico, timido/estroverso, buono/cattivo, bianco e nero, mi viene spontanea una distinzione di queste in due fondamentali generi; non mi è semplice da spiegare, perchè si tratta di una sensazione sfumata, ma da una parte vedo quanti vivono come se seguissero una rotta similmente a grandi navi sicure e affidabili, dall'altra vedo chi, invece, vira nervosamente di continuo, cercando di cavalcare l'onda più favorevole.
Non mi riferisco all' ostentata superiorità di chi persegue con tutte le proprie forze un obiettivo definito nei confronti di chi vive ancora disorientato, ma ad una qualità differente.
Essa si scorge in tutte le azioni quotidiane vissute insieme agli altri piuttosto che nelle grandi, spesso egoistiche, scelte di vita, e, credo, si compone della "capacità" e della "libertà"; sto parlando della capacità di mantenersi coerenti davanti agli altri, di interpretare la propria persona (quella in cui si crede) fino in fondo e soprattutto davanti a chiunque, di pensare prima di seguire qualsiasi maggioranza.
Credo che chi si dimostri capace di questi gesti debba sentirsi libero, non abbandonato. L' idea di libertà che ho in mente è quella del calciatore che si permetta il lusso di lanciare il pallone alle stelle quando l'avversario è a terra dolorante, l'idea di un uomo che non abbia bisogno dell'occasioone "a porta vuota", di un uomo che sia leone, non avvoltoio! Può sembrare facile, ma credo che non lo sia.
Ad ogni modo non credo di essere stato in grado di spiegare bene la differenza tra questi due modelli, perchè, in realtà, le ho tratte dalle mie sensazioni istintive più che dai fatti tangibili. ...Non sono forse i fatti troppo influenzati dal caso o dai fenomeni atmosferici per costituire l'unico giudice?
Chi vuole, è invitato ad aiutarmi a precisare i contorni delle mie due sfumate categorie!
Johnpigs

mercoledì 22 luglio 2009

I piccioni e la scrittura

Gesualdo Bufalino nel suo “Argo il cieco” chiede alla scrittura la fonte di salvezza.
Il suo personaggio è sul punto di togliersi la vita ma inizia a ricordare il proprio passato in Sicilia, dalla lontananza di una stanza d’albergo romana. Nella notte, a poco a poco, lentamente le immagini della giovinezza, attraverso le parole, cominciano a riemergere ai suoi occhi.
Gli amori impossibili, sognati con donne mai capaci di amarlo e capirlo, ma anche il fresco riposante degli ulivi, il mare che riaffiora con il suo sale impregnando con dolcezza la testa di schiuma.
Nella penombra di questa anonima camera d’hotel della capitale si compie il ritorno alla purezza, alla libertà attraverso l’abbandono alla poesia.
Il protagonista - questo umile, timido professore - si muove da solo, con monologhi rivolti unicamente a sé stesso e nei suoi pochi passi leggeri parla agli altri attori della scena come lanciando versi da un profondo inascoltato. La sua solitudine è quasi eguale all’amore inondante che porta nelle ossa.

Non voglio andare oltre nel richiamo a questo bellissimo libro; non so perché ho pensato a questo testo o forse sì. L’animo del professore di Modica è quello di un uomo innamorato eppure prigioniero di un limite insuperabile: in realtà non sa amare. Non sa amare perché davvero ha paura di vivere. Il suo guardare alle donne che gli passano attorno è il simbolo di un’infinita, immobile attesa.
Il professore non sa amare perché ha paura di vivere e lanciarsi nell’acqua tumultuosa della vita e vorrebbe infatti – questo è incipit e motivo conduttore del libro – avere il coraggio di levarsi la vita da sé.

La paura di vivere paralizza. Comunicare con gli altri significa dazione, privazione, perdita, rischio, sconfitta.
Viviamo come i piccioni abbarbicati sui fili dell’alta tensione; stiamo lì seduti con la voglia di guardare il mondo, la strada, conoscere le cose. Eppure non ci muoviamo da quei fili pericolosi che in un solo istante potrebbero con una scarica farci cadere verso il basso.
Vivere sembra vivere con un freno che ci tiene al riparo dai pericoli ma privati della vita stessa. Guardiamo gli altri che incrociamo e non sentiamo nulla, al riparo sul nostro filo pericoloso.
Rimane sempre almeno un metro e mezzo tra noi e la verità, tra noi e quel suolo laggiù dove scorrono gli eventi.
Ci proteggiamo con l’unica risorsa di cui disponiamo: la menzogna. Con essa fingiamo la vita, fingiamo un dialogo, uno stupore, una conversazione sincera. In questo modo ci sentiamo al sicuro, inattaccabili; pensiamo che non ci possa accadere nulla di male. Pensiamo che non è esattamente un granché come situazione ma ci reputiamo decisamente protetti e quindi, tutto sommato, lieti, soddisfatti.
In realtà non siamo felici, lo sappiamo tutti e vogliamo altro. Siamo ancora fermi su quel filo in alto, non ci siamo mossi, abbiamo solo mostrato un sorriso balordo che, in fondo, non esiste. Parliamo agli altri piccioni sul filo, scambiamo il nostro mangime prelibato, addobbiamo devoti il nostro nido sul palo con foglie secche di illustre rarità e nuovi delicati rametti di pino. Ma nonostante ciò restiamo, in fondo alla gola o sulla punta della lingua o ancora sulla linea delle labbra, imbrattati di un sapore malsano e fastidioso, di un che continuo, perenne di … insoddisfatto. Siamo, in realtà, un po’ a digiuno della vita. Piccioni a dieta - si direbbe -, senza però averne ancora consumate di effettive scorpacciate.

E allora si scrive. Si scrive per prendere in giro la vita, per destrutturarla e denudarla, per ridicolizzare quell’assurdo palo dell’alta tensione. Si scrive, si racconta costantemente di quel metro e mezzo circa che separa i piccioni dal suolo, dalla vera vita. Si scrive con l’illusione che serva realmente a qualcosa, che possa davvero levare quell’angoscia da qualcuno che legge e che guarda il professore di Modica e reputa il suo vivere … ridicolo.
Si inventano storie come fossero inverosimili, si dà carne e corpo a personaggi incapaci di vivere per tenere lontano da noi l’incubo.

Una volta vedevo la scrittura - da piccolo - come un rifugio dal mondo; un gioco istintivo di raccontare altri mondi dove non ci fossero persone che conoscevo e che mi piacevano poco. Lentamente però ho visto nella scrittura un’altrove diverso, l’altrove del reale, dove rappresentare in forma teatrale, scenica il vero dramma: l’esistente.
Adesso non penso più alla scrittura come una terra lontana dove andare a riposare; l’istinto mi dice invece che la scrittura serve non a fuggire dalle cose ma a fare luce su di esse. Mi serve a capire l’inconsistenza di alcune idee e di alcuni comportamenti, l’illusione di alcune certezze, l’inutilità di alcuni momenti ma anche la necessità di certe azioni e di certe scelte.
La scrittura diventa allora da strumento di sopravvivenza, da trastullo piacevole per sentirsi più lieti, a mezzo di lotta per la verità, da difesa contro la nostra solitudine ed inconsistenza a strada necessaria per realizzare l’opera del vivere.

Nonostante tutto, però, rimane una prova di resistenza. Scrivo perché ho ancora polmoni allenati ma molto spesso sono preda delle mie paure.
Ho paura di non sapere amare, di non trovare la verità, di lasciarmi tentare anch’io da grigi pregiudizi ed entusiasmi senza colore. Spesso mi lascio travolgere da un odore intrigante pensando che dietro ci sia nascosto l’amore verificando solo dopo, quando il dolore è già arrivato, che mi ero sbagliato e che non vi era alcun fiore oltre lo stelo.
Altre volte mi lascio convincere che la strada facile ed in compagnia mi porterà benessere ed allora la percorro convinto che nel chiasso sul quel sentiero mi troverò bene. E invece dopo rimpiango di non essere rimasto ferreo nel mio proposito iniziale.
Altre volte ancora mi sposo beato e con sorriso ampio sull’altare della leggerezza e protendo ad essa quasi sfiorando una virtù; ma dopo poche lune d’incanto s’illumina improvvisa la risposta. Mi ero ancora, di nuovo, sbagliato: il mio passo non ha avuto senso.

Tutte queste azioni che mi conducono inevitabilmente dolore derivano dalla paura, la paura di perdere qualcosa, di subire un abbandono, una delazione, una bugia, di avere una smentita su un’idea od una risposta indesiderata. E allora, queste paure mi spingono a percorrere la comune e più comoda stradella dell’asfalto anziché condurre sapiente e con orgoglio il mio quattroperquattro per lo sterrato non segnalato.

Eppure il danno non è così grave, a pensarci bene. Cosa è vivere se non il rischio continuo di morire?
A pensarci bene, davvero, la metà delle nostre scelte non derivano da un’idea diretta di libertà e ricerca, da una spinta illuminata di sapienza. La metà di loro - e spesso davvero quelle più significative - provengono invece dalla paura di cadere nel vuoto, di perdere tutto. Invece di porre un’azione poniamo una reazione; al posto di una domanda preferiamo più spesso dare una dissimulata risposta.
Verrebbe allora lo sconcerto ad andare fino in fondo in questa riflessione e forse, allora, i propositi suicidi del timido professore di Modica non apparirebbero talmente incongrui e tanto inverosimili.

Eppure il problema non è nella sostanza ma nel metodo. Possiamo opporre alla paura non il coraggio – non tutti, infatti, ne disponiamo a sufficienza – ma quanto meno la propensione al vero.
Amare qualcuno o qualcosa non è in realtà dolore e non vita. Amare è già vivere l’amore, amare è in sé saper vivere, cercare e saper trovare il vivere. Vivere è cercare il vivere.
La perdita, dunque, fa già parte dell’amore prima che esso accada e come tale non può stupire e preoccupare il rischio.
La vita si misura proprio con la nostra misurazione dell’amore; la si perde invece proprio nell’istante stesso in cui si pensa con animo atterrito che prima o poi l’amore svanirà, che prima o poi qualcuno o qualcosa ci lascerà.
In quell’istante, infatti, prima ancora che le membra fisiche si separino da noi, abbiamo già innalzato al cielo il peana dell’addio a quest’esistenza.
Il nostro rifugio lassù sui fili dell’alta tensione è già morte, è già suicidio, è già non vivere.

La finitezza del nostro esistere non ci pone infinite alternative: o vivere dando luogo con sapienza e grande sete ai nostri impulsi, che essi stessi danno linfa ai nostri piccoli giorni sulla terra; o fare il personaggio Gesualdo, che la scrittura ci ha insegnato ridicolo nel suo penare lamentoso nel ricordo delle amanti.
A quel punto allora il piccione prova ad alzarsi e magari non cade; resta in piedi e saluta gli altri ancora appesi al filo, tutti in attesa della scarica di alta tensione. Chissà poi quando arriva …

sabato 18 luglio 2009

Viaggio ad est

Pubblicizzo con piacere questa iniziativa a cui partecipa un ragazzo palermitano. Una di quelle cose alle quali vorrei prendere parte, chissà...

Il profondo Est ha su di me un'immensa attrattiva: misterioso, selvaggio, eterno, solitario, incantato.

http://www.estmongolrally.com/

giovedì 16 luglio 2009

Il sogno ed il ricordo

Il sogno ed il ricordo sono per me due elementi fondamentali dell’altrove.
Nel sogno trovo una vita che non esiste e che - non so bene per quale ragione - mi appare come vera, autentica, palpabile. Nel ricordo vive il mio passato, quello che mi è successo.
Per me scrivere è sognare o ricordare; sono i sogni ed i ricordi ad intrecciarsi dentro di me. Alcune volte i ricordi mi sembra persino prendano il sopravvento. Il ricordo diventa delizioso conforto, arriva portando con sé un carico di perduto che però rasserena.
Forse il sogno ed il ricordo sono i due estremi del tempo; forse nel ricordo misuro il passato, nel sogno misuro i miei prossimi giorni.
Il fondo comune però di entrambi è nella loro origine. Credo che tutto sia iniziato per me dal fatto che la realtà non mi piaceva, la realtà non mi è mai piaciuta. Ho iniziato a scrivere per togliere peso alla realtà, per farla sfumare, per lasciare da parte.
Ho avuto per alcuni periodi della vita l’idea se fosse la soluzione migliore essere presente, comunicare agli altri oppure rifiutare ciò che mi era imposto e stare lontano, distaccato, perdere lentamente grossi pezzi di realtà.
La realtà - questo è vero per me – rende schiavi e prigionieri. La realtà impone le sue regole, i suoi codici di comportamento, i suoi percorsi di scelta. Lascia piccoli margini tra un minimo ed un massimo in verità già decisi. Almeno la nostra realtà, delle nostre moderne società.
Allora si aprono le strade del rifiuto della realtà e dell’abbandono in noi stessi oppure della lotta alla realtà, della violenza irresistibile verso ciò che di reale più ci danneggia, come la solitudine ad esempio.
Ma seguo un’altra strada: interpretare la realtà alla luce del ricordo e del sogno. Faccio filtrare nel reale il riflesso delle mie lenti, guardo ai fatti seri che incombono cercando di ricordare come avrei reagito se avessi avuto venti anni di meno. Cerco di rievocare le cose che mi piacevano quando avevo quattro o cinque anni e sulla base di quelle scelgo. Cerco di ritrovare l’istinto della scelta di un giocattolo verso le cose che oggi mi sembrano davvero importanti.
Oppure sogno, dimentico la realtà per come mi appare, la cambio. Mi ostino a cercare di non sentirmi sporco, corrotto da una sporcizia che esiste in quanto tale e metto colori dappertutto. Prendo un proiettore e cerco di vedere un quadro diverso. Ad esempio, anche nel silenzio cerco di sentire suoni, cerco di registrare suoni oltre quelli che il nostro orecchio si abitua a registrare.
Leggendo questo che scrivo conosco molte persone che verrebbero a chiedermi “Perché scrivi cose mettendo per forza questo romanticismo?”
Non lo so, potrei rispondere. Forse non è romanticismo, forse è solo la paura di non sapere come si vive ed il bisogno di dare colore ad una realtà che appare spesso grigia, sofferente, immobile, vuota.
Ho trovato conforto nei miei periodi più bui nel giocare a fare il poeta, l’artista. Mi ha dato piacere, allegria. Magari ero e sembravo ridicolo, magari perdevo tempo però adesso, dopo questi anni passati a giocare con me stesso, da solo, mi sento bene. Sento di avere trovato e collezionato tanti colori ed immagini dentro di me che nessuno mi può togliere. Penso di avere lasciato una parte di me lontana dalla realtà e penso che questo sia un bene.
Non penso che si possa capire la realtà attraverso la sua totale contaminazione. Non penso si possa andare in profondità nella verità e nella storia perdendo sé stessi. Penso che si possa, o si debba, provare a mettere in discussione tutto, tutto quello che abbiamo o che ci hanno dato. Questo è un atto necessario. Però penso che si sbaglia se si sacrifica all’altare della ricerca e del viaggio la nostra origine, il nostro tempio, fatto solo di ricordi, i più sbiaditi, e di sogni, incantati.
Penso che il cinismo, il nichilismo vengano proprio da questa scelta: la scelta di rinunciare a tutto, anche alla propria origine al costo per della verità.
Ho provato a fare scelte di dissoluzione totale di me stesso, di rinuncia a me stesso ma questo non mi ha mai restituito fino in fondo la verità. Mi ha dato invece estrema sofferenza.
Allora, dopo questo percorso ho capito che la ricerca della felicità e della verità reale, di ciò che ci circonda è in primo luogo la ricerca di noi stessi. E la ricerca di noi stessi non può prescindere dalla ricostruzione della nostra storia, della nostra mappa di ricordi. I nostri ricordi sono a loro volta la lente d’ingrandimento per riconoscere i nostri veri sogni dai sogni fasulli che la società prova ad imporci.
Forse mi sbaglio, ma per trovare la verità del mondo ed essere felici un modo necessario è conservare, a fatica, ogni giorno, a rischio di dolore e solitudine, i nostri vecchi sogni di bambini.
La corruzione che il vivere sociale genera trova infatti forma nel conformismo ai modelli accessibili, semplici, comodi, appetibili, standardizzati. “Io” invece è un concetto molto più selezionato, raro e difficile da proporre su un mercato di valori perché troppo costoso, poco mediatico.
E’ la difesa dell’”Io” la nostra difesa di sopravvivenza, la nostra barriera al falso, al conforme, la banale, al dolore.
Non provo vergogna se alcune volte ho reazioni che possono farmi sembrare un bambino; non provo vergogna a mostrare i miei sentimenti, a dire che qualcosa mi turba, a giocare con i bambini e con gli animali anche in contesti di assoluta serietà e rigore. Non trovo incoerente fare o studiare cose che richiedono apparente maturità – secondo schemi convenzionali – e perdermi poi nei trastulli più infantili, come annotare sul foglio accanto al libro formazioni di vecchie squadre di calcio.
Non trovo mancanza di correlazione nel volere parlare nel contesto di una medesima conversazione della situazione politica italiana o globale e del modo in cui sta dormendo il gatto di fronte o del fatto che gli alberi sulla strada stanno cambiando colore.
Mi sento libero, non mi tocca il giudizio della gente. Non ho bisogno di trovare conferma in modelli già esistenti - qualche anno fa ne avevo invece molto e costante bisogno - e soprattutto sono assetato di conoscere i ricordi ed i sogni degli altri. Sono felice quando qualcuno finalmente si apre e senza pudore decide di donarmi la sua storia.
Allora penso che solo il ritorno all’infanzia ci può salvare dalla violenza, dal male. Solo i nostri ricordi antichi possono alimentare in senso positivo i nostri sogni. In quei ricordi prova a sopravvivere la nostra essenza più autentica.
Non avremmo bisogno di recitare troppi ruoli, inscenare troppe farse, colmare le nostre vite di falsità se solo ricordassimo la faccia che avevamo quando andavamo alle elementari e le cose che ci piacevano allora.
Le nostre scelte quotidiane – che a volte ci sembrano pesanti ed impossibili da sostenere – ci apparirebbero più lieve se riuscissimo a renderle più relative a confronto con le cose che invece nel profondo ci rendono felici e davvero – oltre ogni schema imposto, falsità e menzogna salottiera – sono importanti per noi.
Forse la nostra difficoltà, la nostra sofferenza non dipende solo dalla realtà ma dalla nostra nostalgia; la nostalgia per la nostra infanzia in cui in realtà eravamo stracolmi di sogni bellissimi e di speranze, di colori e di immagini piacevoli.
Dove è finito Giovanni, Cristina, Marco, Silvia, Mauro di una volta? Dove ero rimasto? Di chi è questa faccia ora?
Possiamo recitare la nostra parte, possiamo anche continuare con il nostro personaggio più o meno di successo; in certi contesti sembra ormai che non ci sia più scelta. Tuttavia, il nostro personaggio è vivo e forse anche nei contesti in cui l’aria si fa più soffocante possiamo lanciare la nostra polvere di irrazionale ed anarchico ricordo; possiamo stupire tutti e generare consenso anche lanciando nell’aria il nostro sguardo ingenuo di persone libere e sognanti. E facendo questo, forse, possiamo cambiare il mondo e dirigerlo … altrove.
I ricordi e i sogni sono le due lenti con cui io guardo il mondo e scelgo le cose che mi piacciono e trovo ciò che mi pare giusto e ciò che mi pare sbagliato.
La finzione non ci appartiene, ci è stata imposta. Però possiamo essere liberi.
Una volta lo eravamo.

martedì 14 luglio 2009

http://www.repubblica.it/2006/12/gallerie/ambiente/arcobaleni-mondo/1.html

Ariel.

domenica 12 luglio 2009

Ciao ragazzi. Che belle foto ho visto ..Io voto per "Fast food in Santorini" e "Altrove".
Propongo un esperimento: ognuno scelga 6 posti di questo mondo che desidera visitare o rivedere (da viaggiatori, per arrivare "altrove", non da turisti) e li ponga in ordine di preferenza con un punteggio. Alla fine eleggeremo la meta "altrove"
Inizio io: AUSTRALIA 10 punti, GINOSTRA(Stromboli) 6, NORVEGIA 4, BALI 3, PERU 2, SAN FRANCISCO 1.

Johnpigs.

venerdì 10 luglio 2009

Vivere secondo uno schema,
comportarsi come ci si aspetta,
non destare sorpresa,
non creare scandalo,
dare ed ottenere quello che è stato pattuito.
Questa è la vita.
Respirare un altro odore,
amare un'altra emozione,
sognare un altro sogno,
desiderare un'altra giostra,
percepire un altro senso,
sabotare l'altro te stesso.
Questo è vivere


Tempo fa, su un volo per parigi, ho trovato queste parole su un giornale. Mi sono sempre piaciute perché rendono bene l’idea di cosa significhi essere e sentirsi sempre in gioco, alla ricerca di qualcosa che ci migliori, che ci completi, che possa farci sentire felici e che ci aiuti a capire meglio chi siamo. Ci sono delle volte in cui vorrei essere da tutt’altra parte, vorrei poter lasciare tutto e partire. E andare in qualsiasi altro posto che non sia questo. Altrove. Credo che la mia vera occasione, l’occasione della mia vita, debba ancora arrivare. Vivo in un paese in cui tendo a riconoscermi ben poco, noto fin troppe cose che non vanno e mi arrabbio perché la maggioranza delle persone ancora segue e promuove personaggi, pratiche e abitudini che ritengo essere più che pessime. E vivo quotidianamente un conflitto interiore tra la voglia di andar via e il desiderio di cambiare ciò che mi sta intorno. Nel mio piccolo cerco di farlo, giorno dopo giorno. Cerco di portare qualcosa di buono agli altri, di creare legami, rapporti, di intensificare gli affetti e rendere più dolce la vita di ognuno.
Forse è proprio questo il mio viaggio, la mia missione. Ciò che sono (e che non riesco a cambiare) mi rende “diversa” rispetto agli altri, e questa diversità spesso risulta essere pesante nella misura in cui è come se ad esser premiati fossero tutti coloro che siano dediti soltanto a curare i proprio interessi, disinteressandosi totalmente degli altri e di ciò che gli sta intorno.
Questo blog ha tanti scopi e tanti buoni propositi. Sono molto contenta di parteciparvi e di condividere emozioni, sentimenti, idee, progetti e tutto quanto sia possibile condividere. Parlando con Giovanni, se pur brevemente, mi sono resa conto che c’è qualcun altro come me, che avverte lo stesso mio disagio e che ha comunque voglia di continuare ad essere com’è, sperando di contribuire alla realizzazione di un mondo migliore dove la diversità non sia più causa di sofferenza ed esclusione, ma costituisca, di contro, la normalità. Vorrei che la superficialità, l’arroganza, la strafottenza e la vacuità interiore non fossero le caratteristiche principali della maggior parte delle persone. Vorrei poter vivere in un mondo in cui si dà importanza alle cose che realmente abbiano valore, in cui dominino onestà e altruismo, dove si trovi piacere già nelle piccole cose, dove tutti abbiano la possibilità e la voglia di contribuire ad un costante miglioramento. Mi piacerebbe non dovere rifugiarmi nel mio mondo interiore ogni volta che la realtà mi tradisca o mi causi solo sofferenze. Vorrei sentirmi libera di essere come sono senza dovermi vergognare o essere ferita. In realtà questa è una cosa che ormai faccio. A mio discapito ovviamente. Vorrei continuare a farlo senza dover rimpiangere di non essere diversa da come sono, ovvero più simile alla maggioranza delle persone. A volte qualcuno si accorge di me e di quello che sono, e questo compensa tutte le cose spiacevoli che io possa aver subito. Mi torna il buon umore. Il mio sostanziale ottimismo. Credo nella forza della gente. Credo nel fatto che, per quanto gli ostacoli e le sofferenze che la vita ci pone debbano essere superati da soli, i familiari gli amici e le persone che ci stanno intorno abbiano una funzione fondamentale. Per farci sentire amati, per non farci sentire mai soli. Sapere di poter contare sull’appoggio di qualcun altro e confidare nel fatto che, anche se col solo pensiero, noi non saremo mai davvero da soli, è una delle sensazioni senza la quale non potrei vivere. Nei momenti più buii per me e per chi mi stava intorno, ho sempre cercato di essere presente. Di non perdermi in mezzo a dolore e sofferenze. Di sostenere me stessa e stare vicina il più possibile agli altri. Perché anche questa è vita, e non bisogna andare mai alla deriva.
Diciamo che ho scritto fin troppo, per cui è il momento di fermarmi. Tutte queste cose erano per fare capire un po’ come sono, come mi sento, e un po’ di quello che mi piacerebbe fare insieme a voi su questo blog.
A presto spero.
Silvia.