giovedì 30 luglio 2009

Vulcani e comete

Segnalo questo bellissimo sito gestito da un astronomo italiano appassionato di comete e vulcani. E' ricco di foto e video da Stromboli al Krakatoa.
Visitatelo, ne vale la pena.

http://www.swisseduc.ch/stromboli/index-en.html


John Waine

IL SOGNO DI STANOTTE

Ciao a tutti!
Questa notte ho fatto un sogno molto spettacolare, direi cinematografico; non si tratta, in realtà, nè di un bel sogno nè comunque di un incubo, del quale non possiede l'atmosfera tetra e angosciante.
Mi trovavo una sera con amici abituali (ma non saprei dire esattamente chi fossero) davanti ad un cancello che conduceva ad una discesa a mare; forse per fare il classico bagno di notte. Discutevamo davanti al cancello, ma di cosa non mi è dato ricordare..
E' passato del tempo, poi mi sono ritrovato davanti al mare su una piattaforma rocciosa, ma con la piena luce del giorno ..e con un forte vento teso.
Individuata personalmente la migliore postazione sulla piattaforma, indugiavo nello stendere il mio telo, inpiedi, mentre gli altri erano già stesi sotto il sole. Ed allora una forte ondata li ha sommersi, mentre io, verticale, venivo solo bagnato..
Nella sequenza successiva siamo sempre li, allegri e spensierati ma alle prese con il vento sempre più forte, che fa volare via e poi planare sull'acqua un pacco di biscotti del Mulino bianco (mentre dissuado Mauro Venuti, era lui!, dal tuffarsi nella corrente rapidissima per recuperarlo!).
Ed ecco il capolavoro scenico: un'onda anomala che parte come la precedente, ma che si alza come un grattacielo, e sommerge i miei mentre prendono il sole ..e me, sempre inpiedi!
Il bello è che non destava in me particolare timore, piuttosto entusiasmo per l'enormità del fenomeno!
Il risveglio in piena notte con l'immagine dell'onda anomala neglli occhi, però, mi ha meso qualche brivido..
Johnpigs

lunedì 27 luglio 2009

Il segreto dell'amore eterno?

Ciao a tutti, esordisco con un pezzo non scritto da me ma da Francesco Alberoni su cui ho posato gli occhi stamattina, pensando subito dopo di condividerlo con voi. Una bella ed interessante lettura che mi trova pienamente d'accordo su molti punti.... buona lettura :)


Il segreto dell’amore eterno? Quel continuo perdersi e ritrovarsi
Il segreto è la continua ricerca del mistero dell’altro


Ho studiato a lungo l’innamora­mento, il processo in cui rapida­mente siamo affascinati da una perso­na, pensiamo solo a lei, la desideria­mo disperatamente, non possiamo far­ne a meno e vogliamo vivere insieme per sempre. E ho approfondito soprat­tutto il processo di fusione, in cui gli innamorati cercano una unione totale del corpo e dello spirito. Si raccontano e rivivono insieme le proprie vite, sciol­gono i legami amorosi di un tempo, si identificano e si plasmano l’uno sul­l’altro fino a provare gli stessi senti­menti, a desiderare le stesse cose, a co­struire un comune progetto di vita.

La fusione spiega la forza della pas­sione amorosa nel periodo dell’inna­moramento. Ma non spiega perché la passione, il continuo bisogno dell’al­tro e il desiderio erotico in certi casi possano durare anni e anni e addirit­tura crescere. Nei romanzi e nei film, il desiderio dura perché c’è un ostaco­lo, un impedimento, un nemico, un ri­vale che impedisce la sua realizzazio­ne. Quando cioè il processo di fusione viene rallentato o impedito da fattori esterni. Quando questi cessano di agi­re i due finalmente si amano e la sto­ria finisce. Di essi si dice solo che «vis­sero felici e contenti». Nella realtà di solito resta un amore intenso ma in cui lentamente l’erotismo si attenua finché non prevalgono la tenerezza e l’affetto.

Però ci sono anche dei casi in cui in­vece la passione amorosa ed erotica continua con la forza delle origini. Quando avviene? Quando i due inna­morati, pur amandosi appassionata­mente, ricreano in se stessi la distan­za e il desiderio. E come possono far­lo? Quando riscoprono continuamente la loro incolmabile diversità, per cui, anche se si raccontano tutto, sentono che le loro esperienze restano inacces­sibili. Perfino quando sono erotica­mente uniti, fusi, sono consapevoli di non sapere cosa prova veramente l’amato. Il grande amore che dura è perciò una continua ricerca e una con­tinua scoperta del mistero dell’altro. L’amato è infinitamente vicino eppu­re, di colpo, anche infinitamente lonta­no. Allora rinasce il desiderio. L’amo­re è costituito strutturalmente tanto dalla distanza e dalla mancanza come dalla ricerca e dal ritrovamento. L’amore che dura non è uno stato, ma un succedersi di oscurità e di luci in­cantevoli. È un continuo perdersi e un meraviglioso ritrovarsi nuovi. È come un cuore che pulsa: un susseguirsi del vuoto — la diastole, e del pieno — la sistole. Non è statico, è fatto di onde, come il mare, come la luce.

Francesco Alberoni

(....Ulisse)

giovedì 23 luglio 2009

Da tempo, osservando le persone, rifiutando le solite e opinabili categorizzazioni quali simpatico/antipatico, timido/estroverso, buono/cattivo, bianco e nero, mi viene spontanea una distinzione di queste in due fondamentali generi; non mi è semplice da spiegare, perchè si tratta di una sensazione sfumata, ma da una parte vedo quanti vivono come se seguissero una rotta similmente a grandi navi sicure e affidabili, dall'altra vedo chi, invece, vira nervosamente di continuo, cercando di cavalcare l'onda più favorevole.
Non mi riferisco all' ostentata superiorità di chi persegue con tutte le proprie forze un obiettivo definito nei confronti di chi vive ancora disorientato, ma ad una qualità differente.
Essa si scorge in tutte le azioni quotidiane vissute insieme agli altri piuttosto che nelle grandi, spesso egoistiche, scelte di vita, e, credo, si compone della "capacità" e della "libertà"; sto parlando della capacità di mantenersi coerenti davanti agli altri, di interpretare la propria persona (quella in cui si crede) fino in fondo e soprattutto davanti a chiunque, di pensare prima di seguire qualsiasi maggioranza.
Credo che chi si dimostri capace di questi gesti debba sentirsi libero, non abbandonato. L' idea di libertà che ho in mente è quella del calciatore che si permetta il lusso di lanciare il pallone alle stelle quando l'avversario è a terra dolorante, l'idea di un uomo che non abbia bisogno dell'occasioone "a porta vuota", di un uomo che sia leone, non avvoltoio! Può sembrare facile, ma credo che non lo sia.
Ad ogni modo non credo di essere stato in grado di spiegare bene la differenza tra questi due modelli, perchè, in realtà, le ho tratte dalle mie sensazioni istintive più che dai fatti tangibili. ...Non sono forse i fatti troppo influenzati dal caso o dai fenomeni atmosferici per costituire l'unico giudice?
Chi vuole, è invitato ad aiutarmi a precisare i contorni delle mie due sfumate categorie!
Johnpigs

mercoledì 22 luglio 2009

I piccioni e la scrittura

Gesualdo Bufalino nel suo “Argo il cieco” chiede alla scrittura la fonte di salvezza.
Il suo personaggio è sul punto di togliersi la vita ma inizia a ricordare il proprio passato in Sicilia, dalla lontananza di una stanza d’albergo romana. Nella notte, a poco a poco, lentamente le immagini della giovinezza, attraverso le parole, cominciano a riemergere ai suoi occhi.
Gli amori impossibili, sognati con donne mai capaci di amarlo e capirlo, ma anche il fresco riposante degli ulivi, il mare che riaffiora con il suo sale impregnando con dolcezza la testa di schiuma.
Nella penombra di questa anonima camera d’hotel della capitale si compie il ritorno alla purezza, alla libertà attraverso l’abbandono alla poesia.
Il protagonista - questo umile, timido professore - si muove da solo, con monologhi rivolti unicamente a sé stesso e nei suoi pochi passi leggeri parla agli altri attori della scena come lanciando versi da un profondo inascoltato. La sua solitudine è quasi eguale all’amore inondante che porta nelle ossa.

Non voglio andare oltre nel richiamo a questo bellissimo libro; non so perché ho pensato a questo testo o forse sì. L’animo del professore di Modica è quello di un uomo innamorato eppure prigioniero di un limite insuperabile: in realtà non sa amare. Non sa amare perché davvero ha paura di vivere. Il suo guardare alle donne che gli passano attorno è il simbolo di un’infinita, immobile attesa.
Il professore non sa amare perché ha paura di vivere e lanciarsi nell’acqua tumultuosa della vita e vorrebbe infatti – questo è incipit e motivo conduttore del libro – avere il coraggio di levarsi la vita da sé.

La paura di vivere paralizza. Comunicare con gli altri significa dazione, privazione, perdita, rischio, sconfitta.
Viviamo come i piccioni abbarbicati sui fili dell’alta tensione; stiamo lì seduti con la voglia di guardare il mondo, la strada, conoscere le cose. Eppure non ci muoviamo da quei fili pericolosi che in un solo istante potrebbero con una scarica farci cadere verso il basso.
Vivere sembra vivere con un freno che ci tiene al riparo dai pericoli ma privati della vita stessa. Guardiamo gli altri che incrociamo e non sentiamo nulla, al riparo sul nostro filo pericoloso.
Rimane sempre almeno un metro e mezzo tra noi e la verità, tra noi e quel suolo laggiù dove scorrono gli eventi.
Ci proteggiamo con l’unica risorsa di cui disponiamo: la menzogna. Con essa fingiamo la vita, fingiamo un dialogo, uno stupore, una conversazione sincera. In questo modo ci sentiamo al sicuro, inattaccabili; pensiamo che non ci possa accadere nulla di male. Pensiamo che non è esattamente un granché come situazione ma ci reputiamo decisamente protetti e quindi, tutto sommato, lieti, soddisfatti.
In realtà non siamo felici, lo sappiamo tutti e vogliamo altro. Siamo ancora fermi su quel filo in alto, non ci siamo mossi, abbiamo solo mostrato un sorriso balordo che, in fondo, non esiste. Parliamo agli altri piccioni sul filo, scambiamo il nostro mangime prelibato, addobbiamo devoti il nostro nido sul palo con foglie secche di illustre rarità e nuovi delicati rametti di pino. Ma nonostante ciò restiamo, in fondo alla gola o sulla punta della lingua o ancora sulla linea delle labbra, imbrattati di un sapore malsano e fastidioso, di un che continuo, perenne di … insoddisfatto. Siamo, in realtà, un po’ a digiuno della vita. Piccioni a dieta - si direbbe -, senza però averne ancora consumate di effettive scorpacciate.

E allora si scrive. Si scrive per prendere in giro la vita, per destrutturarla e denudarla, per ridicolizzare quell’assurdo palo dell’alta tensione. Si scrive, si racconta costantemente di quel metro e mezzo circa che separa i piccioni dal suolo, dalla vera vita. Si scrive con l’illusione che serva realmente a qualcosa, che possa davvero levare quell’angoscia da qualcuno che legge e che guarda il professore di Modica e reputa il suo vivere … ridicolo.
Si inventano storie come fossero inverosimili, si dà carne e corpo a personaggi incapaci di vivere per tenere lontano da noi l’incubo.

Una volta vedevo la scrittura - da piccolo - come un rifugio dal mondo; un gioco istintivo di raccontare altri mondi dove non ci fossero persone che conoscevo e che mi piacevano poco. Lentamente però ho visto nella scrittura un’altrove diverso, l’altrove del reale, dove rappresentare in forma teatrale, scenica il vero dramma: l’esistente.
Adesso non penso più alla scrittura come una terra lontana dove andare a riposare; l’istinto mi dice invece che la scrittura serve non a fuggire dalle cose ma a fare luce su di esse. Mi serve a capire l’inconsistenza di alcune idee e di alcuni comportamenti, l’illusione di alcune certezze, l’inutilità di alcuni momenti ma anche la necessità di certe azioni e di certe scelte.
La scrittura diventa allora da strumento di sopravvivenza, da trastullo piacevole per sentirsi più lieti, a mezzo di lotta per la verità, da difesa contro la nostra solitudine ed inconsistenza a strada necessaria per realizzare l’opera del vivere.

Nonostante tutto, però, rimane una prova di resistenza. Scrivo perché ho ancora polmoni allenati ma molto spesso sono preda delle mie paure.
Ho paura di non sapere amare, di non trovare la verità, di lasciarmi tentare anch’io da grigi pregiudizi ed entusiasmi senza colore. Spesso mi lascio travolgere da un odore intrigante pensando che dietro ci sia nascosto l’amore verificando solo dopo, quando il dolore è già arrivato, che mi ero sbagliato e che non vi era alcun fiore oltre lo stelo.
Altre volte mi lascio convincere che la strada facile ed in compagnia mi porterà benessere ed allora la percorro convinto che nel chiasso sul quel sentiero mi troverò bene. E invece dopo rimpiango di non essere rimasto ferreo nel mio proposito iniziale.
Altre volte ancora mi sposo beato e con sorriso ampio sull’altare della leggerezza e protendo ad essa quasi sfiorando una virtù; ma dopo poche lune d’incanto s’illumina improvvisa la risposta. Mi ero ancora, di nuovo, sbagliato: il mio passo non ha avuto senso.

Tutte queste azioni che mi conducono inevitabilmente dolore derivano dalla paura, la paura di perdere qualcosa, di subire un abbandono, una delazione, una bugia, di avere una smentita su un’idea od una risposta indesiderata. E allora, queste paure mi spingono a percorrere la comune e più comoda stradella dell’asfalto anziché condurre sapiente e con orgoglio il mio quattroperquattro per lo sterrato non segnalato.

Eppure il danno non è così grave, a pensarci bene. Cosa è vivere se non il rischio continuo di morire?
A pensarci bene, davvero, la metà delle nostre scelte non derivano da un’idea diretta di libertà e ricerca, da una spinta illuminata di sapienza. La metà di loro - e spesso davvero quelle più significative - provengono invece dalla paura di cadere nel vuoto, di perdere tutto. Invece di porre un’azione poniamo una reazione; al posto di una domanda preferiamo più spesso dare una dissimulata risposta.
Verrebbe allora lo sconcerto ad andare fino in fondo in questa riflessione e forse, allora, i propositi suicidi del timido professore di Modica non apparirebbero talmente incongrui e tanto inverosimili.

Eppure il problema non è nella sostanza ma nel metodo. Possiamo opporre alla paura non il coraggio – non tutti, infatti, ne disponiamo a sufficienza – ma quanto meno la propensione al vero.
Amare qualcuno o qualcosa non è in realtà dolore e non vita. Amare è già vivere l’amore, amare è in sé saper vivere, cercare e saper trovare il vivere. Vivere è cercare il vivere.
La perdita, dunque, fa già parte dell’amore prima che esso accada e come tale non può stupire e preoccupare il rischio.
La vita si misura proprio con la nostra misurazione dell’amore; la si perde invece proprio nell’istante stesso in cui si pensa con animo atterrito che prima o poi l’amore svanirà, che prima o poi qualcuno o qualcosa ci lascerà.
In quell’istante, infatti, prima ancora che le membra fisiche si separino da noi, abbiamo già innalzato al cielo il peana dell’addio a quest’esistenza.
Il nostro rifugio lassù sui fili dell’alta tensione è già morte, è già suicidio, è già non vivere.

La finitezza del nostro esistere non ci pone infinite alternative: o vivere dando luogo con sapienza e grande sete ai nostri impulsi, che essi stessi danno linfa ai nostri piccoli giorni sulla terra; o fare il personaggio Gesualdo, che la scrittura ci ha insegnato ridicolo nel suo penare lamentoso nel ricordo delle amanti.
A quel punto allora il piccione prova ad alzarsi e magari non cade; resta in piedi e saluta gli altri ancora appesi al filo, tutti in attesa della scarica di alta tensione. Chissà poi quando arriva …

sabato 18 luglio 2009

Viaggio ad est

Pubblicizzo con piacere questa iniziativa a cui partecipa un ragazzo palermitano. Una di quelle cose alle quali vorrei prendere parte, chissà...

Il profondo Est ha su di me un'immensa attrattiva: misterioso, selvaggio, eterno, solitario, incantato.

http://www.estmongolrally.com/

giovedì 16 luglio 2009

Il sogno ed il ricordo

Il sogno ed il ricordo sono per me due elementi fondamentali dell’altrove.
Nel sogno trovo una vita che non esiste e che - non so bene per quale ragione - mi appare come vera, autentica, palpabile. Nel ricordo vive il mio passato, quello che mi è successo.
Per me scrivere è sognare o ricordare; sono i sogni ed i ricordi ad intrecciarsi dentro di me. Alcune volte i ricordi mi sembra persino prendano il sopravvento. Il ricordo diventa delizioso conforto, arriva portando con sé un carico di perduto che però rasserena.
Forse il sogno ed il ricordo sono i due estremi del tempo; forse nel ricordo misuro il passato, nel sogno misuro i miei prossimi giorni.
Il fondo comune però di entrambi è nella loro origine. Credo che tutto sia iniziato per me dal fatto che la realtà non mi piaceva, la realtà non mi è mai piaciuta. Ho iniziato a scrivere per togliere peso alla realtà, per farla sfumare, per lasciare da parte.
Ho avuto per alcuni periodi della vita l’idea se fosse la soluzione migliore essere presente, comunicare agli altri oppure rifiutare ciò che mi era imposto e stare lontano, distaccato, perdere lentamente grossi pezzi di realtà.
La realtà - questo è vero per me – rende schiavi e prigionieri. La realtà impone le sue regole, i suoi codici di comportamento, i suoi percorsi di scelta. Lascia piccoli margini tra un minimo ed un massimo in verità già decisi. Almeno la nostra realtà, delle nostre moderne società.
Allora si aprono le strade del rifiuto della realtà e dell’abbandono in noi stessi oppure della lotta alla realtà, della violenza irresistibile verso ciò che di reale più ci danneggia, come la solitudine ad esempio.
Ma seguo un’altra strada: interpretare la realtà alla luce del ricordo e del sogno. Faccio filtrare nel reale il riflesso delle mie lenti, guardo ai fatti seri che incombono cercando di ricordare come avrei reagito se avessi avuto venti anni di meno. Cerco di rievocare le cose che mi piacevano quando avevo quattro o cinque anni e sulla base di quelle scelgo. Cerco di ritrovare l’istinto della scelta di un giocattolo verso le cose che oggi mi sembrano davvero importanti.
Oppure sogno, dimentico la realtà per come mi appare, la cambio. Mi ostino a cercare di non sentirmi sporco, corrotto da una sporcizia che esiste in quanto tale e metto colori dappertutto. Prendo un proiettore e cerco di vedere un quadro diverso. Ad esempio, anche nel silenzio cerco di sentire suoni, cerco di registrare suoni oltre quelli che il nostro orecchio si abitua a registrare.
Leggendo questo che scrivo conosco molte persone che verrebbero a chiedermi “Perché scrivi cose mettendo per forza questo romanticismo?”
Non lo so, potrei rispondere. Forse non è romanticismo, forse è solo la paura di non sapere come si vive ed il bisogno di dare colore ad una realtà che appare spesso grigia, sofferente, immobile, vuota.
Ho trovato conforto nei miei periodi più bui nel giocare a fare il poeta, l’artista. Mi ha dato piacere, allegria. Magari ero e sembravo ridicolo, magari perdevo tempo però adesso, dopo questi anni passati a giocare con me stesso, da solo, mi sento bene. Sento di avere trovato e collezionato tanti colori ed immagini dentro di me che nessuno mi può togliere. Penso di avere lasciato una parte di me lontana dalla realtà e penso che questo sia un bene.
Non penso che si possa capire la realtà attraverso la sua totale contaminazione. Non penso si possa andare in profondità nella verità e nella storia perdendo sé stessi. Penso che si possa, o si debba, provare a mettere in discussione tutto, tutto quello che abbiamo o che ci hanno dato. Questo è un atto necessario. Però penso che si sbaglia se si sacrifica all’altare della ricerca e del viaggio la nostra origine, il nostro tempio, fatto solo di ricordi, i più sbiaditi, e di sogni, incantati.
Penso che il cinismo, il nichilismo vengano proprio da questa scelta: la scelta di rinunciare a tutto, anche alla propria origine al costo per della verità.
Ho provato a fare scelte di dissoluzione totale di me stesso, di rinuncia a me stesso ma questo non mi ha mai restituito fino in fondo la verità. Mi ha dato invece estrema sofferenza.
Allora, dopo questo percorso ho capito che la ricerca della felicità e della verità reale, di ciò che ci circonda è in primo luogo la ricerca di noi stessi. E la ricerca di noi stessi non può prescindere dalla ricostruzione della nostra storia, della nostra mappa di ricordi. I nostri ricordi sono a loro volta la lente d’ingrandimento per riconoscere i nostri veri sogni dai sogni fasulli che la società prova ad imporci.
Forse mi sbaglio, ma per trovare la verità del mondo ed essere felici un modo necessario è conservare, a fatica, ogni giorno, a rischio di dolore e solitudine, i nostri vecchi sogni di bambini.
La corruzione che il vivere sociale genera trova infatti forma nel conformismo ai modelli accessibili, semplici, comodi, appetibili, standardizzati. “Io” invece è un concetto molto più selezionato, raro e difficile da proporre su un mercato di valori perché troppo costoso, poco mediatico.
E’ la difesa dell’”Io” la nostra difesa di sopravvivenza, la nostra barriera al falso, al conforme, la banale, al dolore.
Non provo vergogna se alcune volte ho reazioni che possono farmi sembrare un bambino; non provo vergogna a mostrare i miei sentimenti, a dire che qualcosa mi turba, a giocare con i bambini e con gli animali anche in contesti di assoluta serietà e rigore. Non trovo incoerente fare o studiare cose che richiedono apparente maturità – secondo schemi convenzionali – e perdermi poi nei trastulli più infantili, come annotare sul foglio accanto al libro formazioni di vecchie squadre di calcio.
Non trovo mancanza di correlazione nel volere parlare nel contesto di una medesima conversazione della situazione politica italiana o globale e del modo in cui sta dormendo il gatto di fronte o del fatto che gli alberi sulla strada stanno cambiando colore.
Mi sento libero, non mi tocca il giudizio della gente. Non ho bisogno di trovare conferma in modelli già esistenti - qualche anno fa ne avevo invece molto e costante bisogno - e soprattutto sono assetato di conoscere i ricordi ed i sogni degli altri. Sono felice quando qualcuno finalmente si apre e senza pudore decide di donarmi la sua storia.
Allora penso che solo il ritorno all’infanzia ci può salvare dalla violenza, dal male. Solo i nostri ricordi antichi possono alimentare in senso positivo i nostri sogni. In quei ricordi prova a sopravvivere la nostra essenza più autentica.
Non avremmo bisogno di recitare troppi ruoli, inscenare troppe farse, colmare le nostre vite di falsità se solo ricordassimo la faccia che avevamo quando andavamo alle elementari e le cose che ci piacevano allora.
Le nostre scelte quotidiane – che a volte ci sembrano pesanti ed impossibili da sostenere – ci apparirebbero più lieve se riuscissimo a renderle più relative a confronto con le cose che invece nel profondo ci rendono felici e davvero – oltre ogni schema imposto, falsità e menzogna salottiera – sono importanti per noi.
Forse la nostra difficoltà, la nostra sofferenza non dipende solo dalla realtà ma dalla nostra nostalgia; la nostalgia per la nostra infanzia in cui in realtà eravamo stracolmi di sogni bellissimi e di speranze, di colori e di immagini piacevoli.
Dove è finito Giovanni, Cristina, Marco, Silvia, Mauro di una volta? Dove ero rimasto? Di chi è questa faccia ora?
Possiamo recitare la nostra parte, possiamo anche continuare con il nostro personaggio più o meno di successo; in certi contesti sembra ormai che non ci sia più scelta. Tuttavia, il nostro personaggio è vivo e forse anche nei contesti in cui l’aria si fa più soffocante possiamo lanciare la nostra polvere di irrazionale ed anarchico ricordo; possiamo stupire tutti e generare consenso anche lanciando nell’aria il nostro sguardo ingenuo di persone libere e sognanti. E facendo questo, forse, possiamo cambiare il mondo e dirigerlo … altrove.
I ricordi e i sogni sono le due lenti con cui io guardo il mondo e scelgo le cose che mi piacciono e trovo ciò che mi pare giusto e ciò che mi pare sbagliato.
La finzione non ci appartiene, ci è stata imposta. Però possiamo essere liberi.
Una volta lo eravamo.

martedì 14 luglio 2009

http://www.repubblica.it/2006/12/gallerie/ambiente/arcobaleni-mondo/1.html

Ariel.

domenica 12 luglio 2009

Ciao ragazzi. Che belle foto ho visto ..Io voto per "Fast food in Santorini" e "Altrove".
Propongo un esperimento: ognuno scelga 6 posti di questo mondo che desidera visitare o rivedere (da viaggiatori, per arrivare "altrove", non da turisti) e li ponga in ordine di preferenza con un punteggio. Alla fine eleggeremo la meta "altrove"
Inizio io: AUSTRALIA 10 punti, GINOSTRA(Stromboli) 6, NORVEGIA 4, BALI 3, PERU 2, SAN FRANCISCO 1.

Johnpigs.

venerdì 10 luglio 2009

Vivere secondo uno schema,
comportarsi come ci si aspetta,
non destare sorpresa,
non creare scandalo,
dare ed ottenere quello che è stato pattuito.
Questa è la vita.
Respirare un altro odore,
amare un'altra emozione,
sognare un altro sogno,
desiderare un'altra giostra,
percepire un altro senso,
sabotare l'altro te stesso.
Questo è vivere


Tempo fa, su un volo per parigi, ho trovato queste parole su un giornale. Mi sono sempre piaciute perché rendono bene l’idea di cosa significhi essere e sentirsi sempre in gioco, alla ricerca di qualcosa che ci migliori, che ci completi, che possa farci sentire felici e che ci aiuti a capire meglio chi siamo. Ci sono delle volte in cui vorrei essere da tutt’altra parte, vorrei poter lasciare tutto e partire. E andare in qualsiasi altro posto che non sia questo. Altrove. Credo che la mia vera occasione, l’occasione della mia vita, debba ancora arrivare. Vivo in un paese in cui tendo a riconoscermi ben poco, noto fin troppe cose che non vanno e mi arrabbio perché la maggioranza delle persone ancora segue e promuove personaggi, pratiche e abitudini che ritengo essere più che pessime. E vivo quotidianamente un conflitto interiore tra la voglia di andar via e il desiderio di cambiare ciò che mi sta intorno. Nel mio piccolo cerco di farlo, giorno dopo giorno. Cerco di portare qualcosa di buono agli altri, di creare legami, rapporti, di intensificare gli affetti e rendere più dolce la vita di ognuno.
Forse è proprio questo il mio viaggio, la mia missione. Ciò che sono (e che non riesco a cambiare) mi rende “diversa” rispetto agli altri, e questa diversità spesso risulta essere pesante nella misura in cui è come se ad esser premiati fossero tutti coloro che siano dediti soltanto a curare i proprio interessi, disinteressandosi totalmente degli altri e di ciò che gli sta intorno.
Questo blog ha tanti scopi e tanti buoni propositi. Sono molto contenta di parteciparvi e di condividere emozioni, sentimenti, idee, progetti e tutto quanto sia possibile condividere. Parlando con Giovanni, se pur brevemente, mi sono resa conto che c’è qualcun altro come me, che avverte lo stesso mio disagio e che ha comunque voglia di continuare ad essere com’è, sperando di contribuire alla realizzazione di un mondo migliore dove la diversità non sia più causa di sofferenza ed esclusione, ma costituisca, di contro, la normalità. Vorrei che la superficialità, l’arroganza, la strafottenza e la vacuità interiore non fossero le caratteristiche principali della maggior parte delle persone. Vorrei poter vivere in un mondo in cui si dà importanza alle cose che realmente abbiano valore, in cui dominino onestà e altruismo, dove si trovi piacere già nelle piccole cose, dove tutti abbiano la possibilità e la voglia di contribuire ad un costante miglioramento. Mi piacerebbe non dovere rifugiarmi nel mio mondo interiore ogni volta che la realtà mi tradisca o mi causi solo sofferenze. Vorrei sentirmi libera di essere come sono senza dovermi vergognare o essere ferita. In realtà questa è una cosa che ormai faccio. A mio discapito ovviamente. Vorrei continuare a farlo senza dover rimpiangere di non essere diversa da come sono, ovvero più simile alla maggioranza delle persone. A volte qualcuno si accorge di me e di quello che sono, e questo compensa tutte le cose spiacevoli che io possa aver subito. Mi torna il buon umore. Il mio sostanziale ottimismo. Credo nella forza della gente. Credo nel fatto che, per quanto gli ostacoli e le sofferenze che la vita ci pone debbano essere superati da soli, i familiari gli amici e le persone che ci stanno intorno abbiano una funzione fondamentale. Per farci sentire amati, per non farci sentire mai soli. Sapere di poter contare sull’appoggio di qualcun altro e confidare nel fatto che, anche se col solo pensiero, noi non saremo mai davvero da soli, è una delle sensazioni senza la quale non potrei vivere. Nei momenti più buii per me e per chi mi stava intorno, ho sempre cercato di essere presente. Di non perdermi in mezzo a dolore e sofferenze. Di sostenere me stessa e stare vicina il più possibile agli altri. Perché anche questa è vita, e non bisogna andare mai alla deriva.
Diciamo che ho scritto fin troppo, per cui è il momento di fermarmi. Tutte queste cose erano per fare capire un po’ come sono, come mi sento, e un po’ di quello che mi piacerebbe fare insieme a voi su questo blog.
A presto spero.
Silvia.

martedì 7 luglio 2009

Un nuovo viaggo inizia

Diceva Saramago:
"Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito."

Scelgo questo bellissimo pezzo per salutarvi.Salutare tutti quelli che vorranno far parte di questo blog, di scrivervi, di esserci, di dire liberamente quello che pensano, di alzare o abbassare la voce, di lasciare una traccia di sè. Oppure di stare anche solo a guardare gli altri e restare in silenzio.
Una volta da piccolo, ho capito che non potevo stare più fermo ed ho iniziato a muovermi, a camminare. Non voglio smettere, finchè sono qui, non voglio smettere di camminare, cercare ovunque la vita, la verità, la libertà.

Questo spazio, allora, prima che per me è per tutti voi. Voi che condividete il mio stesso viaggio, sulla strada, per mare o anche solo con la parola. Il viaggio di chi non si stanca di aspettare e si alza a cercare le cose nascoste, dietro le montagne oppure in mezzo alle notizie false.
Ho deciso di aprire questo piccolo spazio per smettere di aspettare e raccogliere, se lo vorrete, le vostre voci, di chiunque.
Il viaggio è tutto quello che ci circonda, come un denso universo che ci avvolge. Siamo per questo, tutti quanti, i figli di una sola comunità, senza razze, lingue, pelli che davvero ci rendano incomprensibili l'uno all'altro. E' solo la nostra disposizione al viaggio ed alla comprensione della verità che ci rende più o meno comprensibili agli altri, è solo la ricerca che ci fa vedere l'immagine della nostra perfetta uguaglianza, come esseri umani.

Il potere sta logorando il mondo. Abbiamo bisogno di dar voce noi stessi alle nostre voci, abbiamo bisogno di costruire adesso canali alternativi alla comunicazione, al dialogo. Non esistono più i giornali, non ci sono le radio libere di una volta.
Adesso, finchè vivrà come comunicazione libera, c'è la rete, mondo virtuale, finto, artificiale, eppure vivo, anarchico, senza confini. Il nostro confronto è fondamentale per mantenere la parola: l'unica arma per il futuro e l'unica bussola del nostro viaggio.Cominciamo a camminare. Poi, come diceva qualcuno, "Quel che deve accadere... accade".
Un abbraccio a tutti