domenica 24 luglio 2011

Il G8: agli italiani la Storia non piace.

Dispiace vedere che ancora dopo tanti anni i fatti di Genova siano il pretesto per giochi o accuse politiche.

L’Italia è un paese incapace di esaminare la Storia nella sua obiettività perché il gioco politico è solo quello di creare divisioni, distanze e allentamento della coesione sociale.

Il G8, da tutto quello che è emerso, dalla documentazione riportata dai giornali, dalle tv, dal web, dalle fonti di informazione non ufficiali, dai privati con foto e con telefonini, è stato uno degli eventi più drammatici della storia repubblicana recente.

La distorsione culturale che in Italia imperversa praticamente da sempre per questa divisione politica impedisce all’opinione pubblica di analizzare i fatti senza pregiudizi ideologici. Come diceva Montanelli: "Io non credo nelle ideologie, credo nei principi”.

Ecco, credo allora che dovrebbe essere il riferimento ai principi a guidare il cittadino nel riguardare a tanti anni di distanza quei fatti drammatici. Principi come libertà personale, inviolabilità fisica e psichica, divieto di trattamenti disumani e degradanti che, al di là di ogni valutazione politica dell'origine dei fatti del G8, sono stati costantemente messi in discussione come da tantissimi anni ormai non accadeva.

Il G8 è stato il fallimento della democrazia italiana di quegli anni ed il fallimento, insieme, del processo di democratizzazione della polizia, che veniva sperimentato con tanto impegno ormai dalla riforma degli anni ottanta che ne aveva operato la smilitarizzazione.

Il G8 ha segnato, quindi, una tappa negativa perché ha creato, indelebile, nella memoria un senso di sfiducia della gente verso lo Stato-istituzione e verso le forze dell’ordine, di cui ancora raccogliamo l’eredità.

Il G8 è stato un esempio di violazione dei diritti fondamentali dell’individuo perpetrato dallo Stato nei confronti dei propri stessi cittadini inermi, nel contesto di una serie di ambiguità oggettivamente inspiegabili se non cedendo al vizio amaro del sospetto (libertà d’azione ai black-block, sproporzione dei mezzi adoperati rispetto ai pericoli, disorganizzazione totale delle forze in campo, impiego smisurato di uomini, ricorso a truppe d’assalto).

Eppure, ancora, dopo tanti anni in cui i processi (seppur ancora in corso) hanno iniziato a far emergere responsabilità sul piano giuridico, nonostante la grande massa di documenti di varia natura disponibile per accrescere il livello di informazione; tuttavia, nonostante tutto, l’atto di abiura formale - o semplicemente un atto banale di richiesta di perdono - rispetto a quegli eventi da parte di chi era al vertice organizzativo e politico non c’è ancora stato.

E le persone che politicamente hanno sostenuto le forze organizzative di quel vertice con il proprio appoggio, con il proprio voto o con il proprio consenso personale hanno ancora imbarazzo e difficoltà a pronunciare le parole della resa ed ammettere che si è trattato di uno scandalo senza confini.

Tutto questo, a mio avviso trova una ragione. La stessa ragione per la quale ancora oggi a sinistra è difficile condannare apertamente gli ex-terroristi anche soltanto sul piano morale, alla ricerca sempre di ambigue giustificazioni.

Agli italiani la Storia non piace perché la Storia impone responsabilità senza appello.

Preferiscono la politica perché la politica concede sempre una via di fuga.