Allego un brano tratto dalle Lettere luterane di Pierpaolo Pasolini. Le sue parole, anche se inserite nel contesto della società italiana post boom economico, sono ancora attuali e in alcuni passaggi assolutamente indispensabili.
E’ difficile credere ed accettare che oggi in Italia non si senta una voce anche da lontano paragonabile all’altezza di Pasolini. La verità con cui descrive la desolazione di contenuti, entusiasmi autentici, coraggio di lottare dei giovani di quel tempo si ritrova nell’immagine di conformismo paralizzante, inerte, qualunquista ed indifferente che – per fortuna solo in parte - io ritrovo oggi nei giovani di questo Paese post 11 settembre e crisi economica globale.
La schiettezza e la decisione con cui Pasolini attribuiva alla società dei consumi la perdita di vera identità e la stereotipizzazione degli individui in forma di automi con scarso animo e poco amore non si ritrova in nessun editoriale tra i più illustri che possano capitare sotto mano di questi tempi.
Che dire? Ottimismo, sempre ottimismo. Però Pasolini manca davvero.
Buona lettura
“Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri.
Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti….
…Confesso che questa tema del teatro greco io l’ho sempre accettato come qualcosa di estraneo al mio sapere accaduto “altrove” e in un “altro tempo”. Non senza una ingenuità scolastica, ho sempre considerato tale tema come assurdo e, a sua volta, ingenuo, “antropologicamente” ingenuo.
Ma poi è arrivato il momento della mia vita in cui ho dovuto ammettere di appartenere senza scampo alla generazione dei padri. Senza scampo, perché i figli non solo sono nati, non solo sono cresciuti, ma sono giunti all’età della ragione e il loro destino quindi, comincia ad essere ineluttabilmente quello che deve essere, rendendoli adulti.
Ho osservato a lungo in questi ultimi anni, questi figli. Alla fine, il mio giudizio, per quanto esso sembri anche a me stesso ingiusto e impietoso, è di condanna….
….Io ho qualcosa di generale, di immenso, di oscuro da rimproverare ai figli… Se io condanno i figli e quindi presuppongo una loro punizione, non ho il minimo dubbio che tutto ciò accada per causa mia. In quanto padre. In quanto uno dei padri. Uno dei padri che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico-fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine.
La colpa dei padri che i figli devono pagare è dunque il “fascismo”, sia nelle sue forme arcaiche, che nelle sue forme assolutamente nuove – nuove senza equivalenti possibili nel passato?
Mi è difficile ammettere che “la colpa” sia questa. Forse anche per ragioni private e soggettive. Io, personalmente, sono sempre stato antifascista, e non ho accettato mai neanche il nuovo potere di cui in realtà parlava Marx, profeticamente nel Manifesto, credendo di parlare del capitalismo del suo tempo. Mi sembra che ci sia qualcosa di conformistico e troppo logico – cioè non storico – nell’identificare in questo la colpa.
Sento ormai intorno a me lo “scandalo dei pedanti” a quanto sto per dire. Sento già i loro argomenti: è retrivo, reazionario, nemico del popolo chi non sa capire gli elementi sia pur drammatici di novità che ci sono nei figli, chi non sa capire che essi comunque sono vita. Ebbene, io penso, intanto, che anch’io ho diritto alla vita – perché pur essendo padre, non per questo cesso di essere figlio. Inoltre per me la vita si può manifestare egregiamente, per esempio, nel coraggio di svelare ai nuovi figli ciò che io veramente sento verso di loro. La vita consiste prima di tutto nell’imperterrito esercizio della ragione: non certo nei partiti presi, e tanto meno nel partito preso della vita, che è puro qualunquismo. Meglio essere nemici del popolo che nemici della realtà.
I figli che ci circondano, specialmente i più giovani, gli adolescenti, sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante, e quando non terrorizzante, è fastidiosamente infelice. Orribili pelami, capigliature caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti. Sono maschere di qualche iniziazione barbarica, squallidamente barbarica. Oppure sono maschere di una integrazione diligente e incosciente, che non fa pietà.
Dopo aver elevato verso i padri barriere tendenti a relegare i padri nel ghetto, si son trovati essi stessi nel ghetto opposto. Nei casi migliori, essi stanno aggrappati ai fili spinati di quel ghetto, guardando verso di noi, tuttavia uomini, come disperati mendicanti, che chiedono qualcosa solo con lo sguardo, perché non hanno coraggio, né forse capacità di parlare. Nei casi né migliori né peggiori (sono milioni) essi non hanno espressione alcuna: sono l’ambiguità fatta carne. I loro occhi sfuggono, il loro pensiero è perpetuamente altrove, hanno troppo rispetto o troppo disprezzo insieme, troppa pazienza o troppa impazienza. Hanno imparato qualcosa in più in confronto ai loro coetanei di dieci o vent’anni prima, ma non abbastanza. L’integrazione non è più un problema morale, la rivolta si è codificata. Nei casi peggiori sono dei veri e propri criminali. Quanti sono questi criminali? In realtà potrebbero esserlo quasi tutti. Non c’è gruppo di ragazzi, incontrato per strada, che non potrebbe essere un gruppo di criminali. Essi non hanno nessuna luce negli occhi: i lineamenti sono lineamenti contraffatti di automi, senza che niente di personale li caratterizzi da dentro. La stereotipia li rende infidi. Il loro silenzio può precedere una trepida domanda di aiuto o può precedere una coltellata. Essi non hanno più padronanza dei loro atti, si direbbe dei loro muscoli. Non sanno bene qual è la distanza tra causa ed effetto. Sono regrediti a una rozzezza primitiva. Se da una parte parlano meglio, ossia hanno assimilato il degradante italiano medio – dall’altra sono quasi afasici: parlano vecchi dialetti incomprensibili, o addirittura tacciono, lanciando ogni tanto urli gutturali e interiezioni tutte di carattere osceno. Non sanno sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare. In questa enorme massa ci sono delle nobili elites, a cui naturalmente appartengono i figli dei miei lettori. Ma questi miei lettori non vorranno sostenere che i loro figli sono dei ragazzi felici (disinibiti o indipendenti, come credono e ripetono certi giornalisti imbecilli, comportandosi come inviati fascisti in un lager). La falsa tolleranza ha reso significative, in mezzo alla massa dei maschi, anche le ragazze. Esse sono in genere, personalmente, migliori: vivono infatti un momento di tensione, di liberazione, di conquista (anche se in modo illusorio). Ma nel quadro generale la loro funzione finisce con l’essere regressiva. Una libertà “regalata” infatti non può vincere in esse, naturalmente, le secolari abitudini della codificazione.
Certo: i gruppi di giovani colti (del resto assai più numerosi di un tempo) sono adorabili perché strazianti. Essi, a causa di circostanze che per le grandi masse sono finora solo negative, e atrocemente negative, sono più avanzati, sottili, informati, dei gruppi analoghi di dieci o vent’anni fa. Ma che cosa possono farsene della loro finezza e della loro cultura?
Dunque, i figli che noi vediamo intorno a noi sono figli “puniti”, intanto dalla loro infelicità, e poi, in futuro, chissà da che cosa, da quali ecatombi…
... Resta sempre tuttavia, il problema di quale sia tale “colpa” dei padri…
…Come ho già accennato, intanto, dobbiamo liberarci dall’idea che tale colpa si identifichi col fascismo vecchio e nuovo, cioè coll’effettivo potere capitalistico. I figli che vengono oggi così crudelmente puniti dal loro modo di essere sono anche figli di antifascisti e comunisti.
Dunque fascisti e antifascisti, padroni e rivoluzionari hanno una colpa in comune. Tutti quanti noi, infatti fino ad oggi con inconscio razzismo, quando abbiamo parlato specificamente di padri e di figli, abbiamo sempre inteso parlare di padri e figli borghesi. La loro storia era la loro storia.
Il popolo, secondo noi, aveva una sua storia a parte, arcaica, in cui i figli, semplicemente reincarnavano e ripetevano i padri.
Oggi tutto è cambiato: quando parliamo di padri e di figli, se per padri continuiamo sempre a intendere i padri borghesi, per figli intendiamo sia i figli borghesi che i figli proletari. Il quadro apocalittico che io ho abbozzato qui sopra, dei figli, comprende borghesia e popolo.
Le due storie si sono dunque unite: ed è la prima volta che succede nella storia dell’uomo. Tale unificazione è avvenuta sotto il segno e per volontà della civiltà dei consumi: dello “sviluppo”.
Non si può dire che gli antifascisti in genere e in particolare i comunisti si siano veramente opposti a una simile unificazione, il cui carattere è totalitario.
La colpa dei padri dunque non è solo la violenza del potere, il fascismo. Ma è essa è anche:
primo, la rimozione dalla coscienza, da parte di noi antifascisti, del vecchio fascismo, l’esserci comodante liberati della nostra profonda intimità con esso;
secondo, l’accettazione – tanto più colpevole quanto più inconsapevole - della violenza degradante e dei veri, immensi genocidi del nuovo fascismo.
Perché tale complicità col vecchio fascismo e perché tale accettazione del nuovo fascismo?
Perché c’è un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante.
In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese.”
Pierpaolo Pasolini, “Lettere luterane”, 1976.
martedì 4 agosto 2009
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Ovviamente ...
RispondiEliminaJohn Waine