giovedì 16 luglio 2009

Il sogno ed il ricordo

Il sogno ed il ricordo sono per me due elementi fondamentali dell’altrove.
Nel sogno trovo una vita che non esiste e che - non so bene per quale ragione - mi appare come vera, autentica, palpabile. Nel ricordo vive il mio passato, quello che mi è successo.
Per me scrivere è sognare o ricordare; sono i sogni ed i ricordi ad intrecciarsi dentro di me. Alcune volte i ricordi mi sembra persino prendano il sopravvento. Il ricordo diventa delizioso conforto, arriva portando con sé un carico di perduto che però rasserena.
Forse il sogno ed il ricordo sono i due estremi del tempo; forse nel ricordo misuro il passato, nel sogno misuro i miei prossimi giorni.
Il fondo comune però di entrambi è nella loro origine. Credo che tutto sia iniziato per me dal fatto che la realtà non mi piaceva, la realtà non mi è mai piaciuta. Ho iniziato a scrivere per togliere peso alla realtà, per farla sfumare, per lasciare da parte.
Ho avuto per alcuni periodi della vita l’idea se fosse la soluzione migliore essere presente, comunicare agli altri oppure rifiutare ciò che mi era imposto e stare lontano, distaccato, perdere lentamente grossi pezzi di realtà.
La realtà - questo è vero per me – rende schiavi e prigionieri. La realtà impone le sue regole, i suoi codici di comportamento, i suoi percorsi di scelta. Lascia piccoli margini tra un minimo ed un massimo in verità già decisi. Almeno la nostra realtà, delle nostre moderne società.
Allora si aprono le strade del rifiuto della realtà e dell’abbandono in noi stessi oppure della lotta alla realtà, della violenza irresistibile verso ciò che di reale più ci danneggia, come la solitudine ad esempio.
Ma seguo un’altra strada: interpretare la realtà alla luce del ricordo e del sogno. Faccio filtrare nel reale il riflesso delle mie lenti, guardo ai fatti seri che incombono cercando di ricordare come avrei reagito se avessi avuto venti anni di meno. Cerco di rievocare le cose che mi piacevano quando avevo quattro o cinque anni e sulla base di quelle scelgo. Cerco di ritrovare l’istinto della scelta di un giocattolo verso le cose che oggi mi sembrano davvero importanti.
Oppure sogno, dimentico la realtà per come mi appare, la cambio. Mi ostino a cercare di non sentirmi sporco, corrotto da una sporcizia che esiste in quanto tale e metto colori dappertutto. Prendo un proiettore e cerco di vedere un quadro diverso. Ad esempio, anche nel silenzio cerco di sentire suoni, cerco di registrare suoni oltre quelli che il nostro orecchio si abitua a registrare.
Leggendo questo che scrivo conosco molte persone che verrebbero a chiedermi “Perché scrivi cose mettendo per forza questo romanticismo?”
Non lo so, potrei rispondere. Forse non è romanticismo, forse è solo la paura di non sapere come si vive ed il bisogno di dare colore ad una realtà che appare spesso grigia, sofferente, immobile, vuota.
Ho trovato conforto nei miei periodi più bui nel giocare a fare il poeta, l’artista. Mi ha dato piacere, allegria. Magari ero e sembravo ridicolo, magari perdevo tempo però adesso, dopo questi anni passati a giocare con me stesso, da solo, mi sento bene. Sento di avere trovato e collezionato tanti colori ed immagini dentro di me che nessuno mi può togliere. Penso di avere lasciato una parte di me lontana dalla realtà e penso che questo sia un bene.
Non penso che si possa capire la realtà attraverso la sua totale contaminazione. Non penso si possa andare in profondità nella verità e nella storia perdendo sé stessi. Penso che si possa, o si debba, provare a mettere in discussione tutto, tutto quello che abbiamo o che ci hanno dato. Questo è un atto necessario. Però penso che si sbaglia se si sacrifica all’altare della ricerca e del viaggio la nostra origine, il nostro tempio, fatto solo di ricordi, i più sbiaditi, e di sogni, incantati.
Penso che il cinismo, il nichilismo vengano proprio da questa scelta: la scelta di rinunciare a tutto, anche alla propria origine al costo per della verità.
Ho provato a fare scelte di dissoluzione totale di me stesso, di rinuncia a me stesso ma questo non mi ha mai restituito fino in fondo la verità. Mi ha dato invece estrema sofferenza.
Allora, dopo questo percorso ho capito che la ricerca della felicità e della verità reale, di ciò che ci circonda è in primo luogo la ricerca di noi stessi. E la ricerca di noi stessi non può prescindere dalla ricostruzione della nostra storia, della nostra mappa di ricordi. I nostri ricordi sono a loro volta la lente d’ingrandimento per riconoscere i nostri veri sogni dai sogni fasulli che la società prova ad imporci.
Forse mi sbaglio, ma per trovare la verità del mondo ed essere felici un modo necessario è conservare, a fatica, ogni giorno, a rischio di dolore e solitudine, i nostri vecchi sogni di bambini.
La corruzione che il vivere sociale genera trova infatti forma nel conformismo ai modelli accessibili, semplici, comodi, appetibili, standardizzati. “Io” invece è un concetto molto più selezionato, raro e difficile da proporre su un mercato di valori perché troppo costoso, poco mediatico.
E’ la difesa dell’”Io” la nostra difesa di sopravvivenza, la nostra barriera al falso, al conforme, la banale, al dolore.
Non provo vergogna se alcune volte ho reazioni che possono farmi sembrare un bambino; non provo vergogna a mostrare i miei sentimenti, a dire che qualcosa mi turba, a giocare con i bambini e con gli animali anche in contesti di assoluta serietà e rigore. Non trovo incoerente fare o studiare cose che richiedono apparente maturità – secondo schemi convenzionali – e perdermi poi nei trastulli più infantili, come annotare sul foglio accanto al libro formazioni di vecchie squadre di calcio.
Non trovo mancanza di correlazione nel volere parlare nel contesto di una medesima conversazione della situazione politica italiana o globale e del modo in cui sta dormendo il gatto di fronte o del fatto che gli alberi sulla strada stanno cambiando colore.
Mi sento libero, non mi tocca il giudizio della gente. Non ho bisogno di trovare conferma in modelli già esistenti - qualche anno fa ne avevo invece molto e costante bisogno - e soprattutto sono assetato di conoscere i ricordi ed i sogni degli altri. Sono felice quando qualcuno finalmente si apre e senza pudore decide di donarmi la sua storia.
Allora penso che solo il ritorno all’infanzia ci può salvare dalla violenza, dal male. Solo i nostri ricordi antichi possono alimentare in senso positivo i nostri sogni. In quei ricordi prova a sopravvivere la nostra essenza più autentica.
Non avremmo bisogno di recitare troppi ruoli, inscenare troppe farse, colmare le nostre vite di falsità se solo ricordassimo la faccia che avevamo quando andavamo alle elementari e le cose che ci piacevano allora.
Le nostre scelte quotidiane – che a volte ci sembrano pesanti ed impossibili da sostenere – ci apparirebbero più lieve se riuscissimo a renderle più relative a confronto con le cose che invece nel profondo ci rendono felici e davvero – oltre ogni schema imposto, falsità e menzogna salottiera – sono importanti per noi.
Forse la nostra difficoltà, la nostra sofferenza non dipende solo dalla realtà ma dalla nostra nostalgia; la nostalgia per la nostra infanzia in cui in realtà eravamo stracolmi di sogni bellissimi e di speranze, di colori e di immagini piacevoli.
Dove è finito Giovanni, Cristina, Marco, Silvia, Mauro di una volta? Dove ero rimasto? Di chi è questa faccia ora?
Possiamo recitare la nostra parte, possiamo anche continuare con il nostro personaggio più o meno di successo; in certi contesti sembra ormai che non ci sia più scelta. Tuttavia, il nostro personaggio è vivo e forse anche nei contesti in cui l’aria si fa più soffocante possiamo lanciare la nostra polvere di irrazionale ed anarchico ricordo; possiamo stupire tutti e generare consenso anche lanciando nell’aria il nostro sguardo ingenuo di persone libere e sognanti. E facendo questo, forse, possiamo cambiare il mondo e dirigerlo … altrove.
I ricordi e i sogni sono le due lenti con cui io guardo il mondo e scelgo le cose che mi piacciono e trovo ciò che mi pare giusto e ciò che mi pare sbagliato.
La finzione non ci appartiene, ci è stata imposta. Però possiamo essere liberi.
Una volta lo eravamo.

2 commenti:

  1. Queste parole, caro john waine, rappresentano esattamente quello che per me è l'essenza di ogni uomo. eliminate le sovrastrutture imposte dall'età adulta non resta che quella parte di noi che da bambini poteva manifestarsi liberamente. noi siamo esattamente quei bambini che giocavano, si stupivano,guardavano il mondo pieni di curiosità. Questa è l'arma contro questa società corrotta e superficiale.

    Albufera

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